La pessima campagna di Donald Trump sembra aver aperto possibilità inaspettate per i democratici in Stati che sino a qualche tempo fa venivano considerati solidi bastioni repubblicani: l’Arizona, la Georgia, persino il Texas. E in diverse aree del Paese i cambiamenti sociali e demografici hanno reso la situazione più incerta che in passato
Come sempre, anche quest’anno le elezioni presidenziali Usa saranno vinte, o perse, sulla base di una serie di Stati che, negli anni, sono alternativamente finiti nel bottino elettorale di democratici o repubblicani. Quest’anno gli swing states, o battleground states, sono ancora di più degli anni scorsi. La pessima campagna di Donald Trump sembra aver aperto possibilità inaspettate per i democratici in Stati che sino a qualche tempo fa venivano considerati solidi bastioni repubblicani: l’Arizona, la Georgia, persino il Texas. Senza addentrarsi in ipotesi al momento avventate, questa è una lista degli Stati dove si decideranno le presidenziali 2016.
Florida – Con i suoi 29 electoral votes è il premio elettorale più ambito. E più difficile. Qui le elezioni sono vinte, o perse, con un margine spesso strettissimo (Bush-Gore del 2000 lo dimostra). La Florida ha una delle mappe elettorali più varie e interessanti degli Stati Uniti. Un elettorato urbano che tende a votare progressista; e vaste aree rurali con un’anima decisamente repubblicana. Le spiagge e il clima mite della Florida richiamano pensionati da tutti gli Stati Uniti – quindi un elettorato di orientamento conservatore; una parte di questi pensionati sono però ebrei della East Coast, quindi per storia e tradizione democratici. La Florida è inoltre il porto d’arrivo per molti immigrati ispanici, che tendono a votare democratico; una parte della comunità latina è però rappresentata dai cubani, più vicini ai repubblicani. E’ questa struttura a macchia di leopardo a rendere lo Stato, ogni quattro anni, una sorpresa e un premio difficile da conquistare. Trump, che in Florida vive parte dell’anno nella casa di Palm Beach, ha trascorso buona parte delle ultime settimane facendo campagna proprio da queste parti. La sua speranza è che la partecipazione al voto di ispanici e afro-americani sia inferiore alle attese. La speranza, al momento, appare molto fioca.
Ohio – Assegna 18 voti elettorali e, dopo la Florida, è lo stato in bilico più ambito. L’Ohio funziona come indicatore di vittoria. Nessun repubblicano ha mai conquistato la Casa Bianca senza conquistare il Buckeye State; e l’Ohio ha votato per il vincitore in ogni elezione, tranne una, a partire dal 1944. Lo Stato sta però diventando meno rappresentativo. Una popolazione più anziana rispetto alla media nazionale, e più bianca rispetto al resto del Paese, lo rende meno capace di scommettere sul vincitore. Proprio quest’elettorato bianco e anziano è comunque un fatto positivo per Trump. L’Ohio, a meno di clamorose sorprese, dovrebbe essere suo. Anche qui, comunque, il cammino di Trump è stato accidentato. Il governatore dello Stato, il repubblicano moderato John Kasich, gli ha fatto una guerra spietata e il chairman del partito repubblicano locale solo recentemente, e a malincuore, ha deciso di appoggiare il tycoon newyorkese.
Pennsylvania – Con i suoi 20 voti elettorali, continua a essere definito, formalmente, uno swing state, anche se le oscillazioni sono ormai un ricordo. Dal 1992, infatti, la Pennsylvania vota stabilmente e solidamente democratico. Il sostegno ai democratici è tale – soprattutto nella popolazione afro-americana– che nel 2012 Mitt Romney non prese un solo voto in 59 precinct di Philadelphia (di qui, le accuse dei repubblicani ai democratici di “aver fatto votare anche i morti”). Questa volta, tra i progressisti, c’era qualche timore di più. Il fascino che Trump esercita verso le fasce più in difficoltà della working-class bianca facevano temere un’emorragia di voti verso i repubblicani, soprattutto nell’ovest dello Stato. Non dovrebbe essere così. La coalizione di donne, afro-americani, giovani e borghesia progressista dovrebbe essere sufficiente a dare la vittoria a Hillary Clinton.
North Carolina – E’ settimane che Clinton torna nello Stato, con regolarità, nella speranza di aggiudicarsi i 15 electoral votes. Di solito il North Carolina tende a essere preda difficile per i democratici. Nel 2008, Barack Obama è stato il primo democratico a conquistarlo dal 1976 (ma con meno di un punto di vantaggio). Nel 2012, lo Stato è tornato ai repubblicani di Mitt Romney (con un vantaggio di tre punti). Il risultato è davvero imprevedibile. Le proteste di Charlotte, dopo l’uccisione da parte della polizia di Keith Scott, potrebbero aver portato a una mobilitazione della comunità afro-americana tale da favorire i democratici. C’è anche la possibilità che funzioni nel senso contrario. Trump, col suo messaggio di law and order, potrebbe portare a votare con convinzione i bianchi, spaventati dall’esplosione delle proteste.
Iowa – I 6 voti elettorali di questa porzione di pianure e campi di grano del Midwest dovrebbero andare, con una buona certezza, a Donald Trump. L’Iowa è uno Stato rurale ed è uno degli Stati più bianchi d’America: un cocktail perfetto per far vincere il repubblicano, che qui ha tra l’altro potuto contare su un appoggio convinto del partito repubblicano locale e dei consistenti gruppi evangelici. L’Iowa non ha invece mai portato troppa fortuna a Hillary Clinton, che quest’anno ha vinto i caucus di stretta misura contro Bernie Sanders e che nel 2008 perse lo Stato a favore di Obama. Una speranza, per Clinton, starebbe in una forte, superiore alle attese, affluenza al voto. I primi dati dell’early voting non sembrano andare in questo senso. L’Iowa, a meno di clamorose sorprese, sceglierà Donald Trump.
Colorado – I suoi 9 voti elettorali sono a lungo stati a disposizione dei candidati del G.O.P. Prima del 2008, i repubblicani hanno vinto le presidenziali in Colorado 9 volte su 10. Negli ultimi anni è però cambiato qualcosa; in particolare, è cambiata la composizione demografica e sociale dello Stato. Sono arrivati gli immigrati ispanici e lo sviluppo della new economy ha attirato migliaia di giovani da altre parti d’America. La cosa ha trasformato lo Stato e il baluardo repubblicano si è trasformato in un’area che guarda sempre più ai democratici. I repubblicani sperano di fare il pieno di voti nell’area di Colorado Spring ma i sobborghi di Denver, insieme al voto femminile, dovrebbero alla fine favorire Clinton.
Virginia – Lo Stato è forse il simbolo più forte di quell’addio al passato che segna la nuova mappa elettorale americana. Roccaforte sudista e conservatrice, la Virginia è ormai passata piuttosto stabilmente ai democratici. Obama l’ha vinta per ben due volte. Clinton appare attestata su un vantaggio molto difficile da erodere. Il segreto dell’avanzata democratica in Virginia è lo stesso che ha cambiato la mappa del Colorado: immigrati ispanici, giovani in età da college, borghesia progressista in arrivo da altri Stati. Di più, quest’anno, va ricordato che il vice di Clinton, Tim Kaine, è un politico della Virginia. I repubblicani si sono messi il cuore in pace. Lo Stato è perso.
Nevada – Non c’è forse luogo che più di Las Vegas, città di fortune che si creano e distruggono in una notte, rappresenti meglio la personalità avventurosa, e da avventuriero, di Donald Trump. Il nome di Trump troneggia, gigantesco, in cima all’International Hotel del magnate repubblicano. Vincere in Nevada è però un’altra cosa. La popolazione ispanica dello Stato non ha gradito per niente i frequenti attacchi di Trump al Messico e ai “bad hombres” in arrivo dal Sud. D’altra parte, una forte tradizione anti-establishment potrebbe favorire il repubblicano, emblema del cane sciolto che si batte contro tutti. I 6 voti del Nevada sono ancora in bilico. La partita è ancora da giocare e dipenderà, con ogni probabilità, da quale percentuale di ispanici Clinton riuscirà a portare alle urne.
Georgia e Arizona – Un discorso a parte meritano Georgia e Arizona. Non sono stati considerati, sino a oggi, veri e propri swing states. I repubblicani hanno vinto in Arizona dal 1952 – unica eccezione, Bill Clinton nel 1996. Sempre Clinton è l’ultimo democratico, nel 1992, ad avere messo le mani sulla Georgia. La campagna non esattamente esaltante di Trump ha però scatenato le aspettative dei democratici. L’emergere di una nutrita popolazione ispanica in Arizona, e la combinazione tra nuova popolazione latina e vecchi residenti afro-americani in Georgia, spinge i demnocratici a sperare. In Arizona, nelle ultime settimane, ci sono passati Michelle Obama, Bernie Sanders e Chelsea Clinton: non verrebbero mandati in tour elettorale, se i democratici non sentissero odore di sorpasso. Alla fine, con ogni probabilità, Trump e i repubblicani dovrebbero comunque tenere i due Stati. Ma, anche qui, i cambiamenti demografici stanno portando a un mutamento della mappa elettorale che favorisce i democratici.