Richard Nixon: “Perché c’è quella bellezza nera nel mio letto? Non che me ne lamenti, intendiamoci… Ma non ero morto?”
Segretario: “Informazione riservata signor Presidente…”
Richard Nixon: “Mi sembra di ricordare di essermi dimesso…”
Ma andiamo con ordine…
Yes we can, cantava il mondo otto anni fa, quando sognava l’elezione del primo presidente americano di colore, quasi come fosse il messia di una nuova era di pace e speranza.
La speranza di un cambiamento epocale per tutta l’umanità, vidimata dall’inatteso e ingiustificato Nobel per la pace conferito a Barack Obama che, secondo l’opinione di molti e di chi scrive, non è poi riuscito a distinguersi dalle precedenti amministrazioni, nei confronti delle quali ha invece mantenuto un rapporto asservito.
Tra pochi giorni gli americani torneranno alle urne per eleggere il futuro presidente e dovranno scegliere tra una candidata anch’essa simbolica e sormontata di significati filosofici, in quanto prima donna candidato della storia, e un personaggio che, pur creando imbarazzi al limite dell’assurdo tra le file stesse del suo partito, ha saputo portare il suo sostegno elettorale allo stesso livello della più presentabile, almeno sulla carta, candidata democratica.
La sfida tra Hillary Clinton e Donald Trump viene quindi vista come un ennesimo spartiacque per la storia, e forse è davvero così, viste le differenze che sussistono tra le due posizioni. Ma se andiamo a ricordare le scelte fatte da tutti i presidenti degli Stati Uniti della storia recente, ci rendiamo conto che nessuno di loro, democratico o repubblicano che fosse, ha saputo distinguersi nettamente dall’operato del suo predecessore.
In sostanza sembra quindi che, vinca uno o vinca l’altro, certi metodi e certe questioni non verranno mai realmente affrontate e superate, in quanto parti del dna stesso degli Stati Uniti.
È di questa opinione anche il campione mondiale del graphic journalism, il mitico Joe Sacco che, dopo avere firmato alcuni tra i più significativi reportage a fumetti, dando una vera e propria forma al genere, ha raccolto in Bumf vol. 1, il suo ultimo lavoro pubblicato questa estate in Italia da Rizzoli ma risalente al 2014, un amaro giudizio su questi anni di amministrazione Obama.
Con quest’opera Joe Sacco non ha fatto apertamente breccia nel giudizio della critica. Qualcuno lo ha ritenuto inadeguato, ben lontano dai picchi di qualità grafica e concettuale dei suoi precedenti lavori come Palestina, una nazione occupata o Gaza, da cui si distacca soprattutto per l’assenza di quella leggerezza a cui affidava il compito di rendere meno grave e più empatica la lettura.
Altri hanno trovato la sua ironia non all’altezza dei riferimenti ideologici di ispirazione, come i contenuti della rivista Mad o il repertorio underground che punta a Robert Crumb e ai Freak Brothers.
Ma credo esista una scelta chiara dietro questa linea, quella di distaccarsi in forma autoriale dai suoi lavori del passato e dal suo stile canonico, proprio per rafforzare la potenza di un giudizio che straborda nello sfogo, e che trasfigura Obama nel peggior presidente della storia, l’infausto Richard Nixon, senza che nessuno, moglie compresa, sembri rendersene conto.
Bumf vol. 1 si presenta come un insieme poco armonico di storie grottesche, tenute insieme tra alti e bassi dal senso di smarrimento e delusione di Joe Sacco, nelle quali si ripercorre la lotta al terrorismo, la violazione di ogni privacy, il mancato smantellamento di Guantanamo, in una sorta di perenne guerra dove storia ed etica vengono smarrite nelle pieghe spaziotemporali che collegano la Terra a un lontano pianeta dove lo Zio Sam può evitare di rispettare, per ragioni di burocratica competenza, ogni diritto umano, e arriva ad un punto finale che è amara presa di coscienza.
Qualunque siano i proclami o le aspettative, chi trionferà nelle elezioni americane sarà sempre al servizio di un’invincibile ragione di Stato, che porterà il vincitore, quali che fossero proclami o manifesti programmatici a divenire un immane lupo sovrumano, disinteressato alle sorti del genere umano visto più come una mangiatoia che come bene da tutelare. Lupo verso il quale è meglio apparire invisibili e genuflessi perché, nel momento in cui dovesse accorgersi di noi, non potrà fare a meno di sbranarci.
E così Joe Sacco perde ogni speranza, e affida a un incappucciato delatore le nuove tavole della legge, dove però ogni comandamento è top secret così che, vinca Hillary o vinca Trump, niente debba cambiare.