La “valorizzazione della leggenda di Alarico” era una delle idee guida del programma elettorale del 2016 del sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto. Così a rielezione avvenuta nessuna meraviglia che ogni sforzo si sia concentrato nella definizione delle ricerche. All’inseguimento delle 25 tonnellate di oro e delle 150 tonnellate di argento conservate nella tomba del re dei Goti che, secondo il racconto di Cassiodoro e dello storico Jordanes, di ritorno dal sacco di Roma morì nel centro calabrese. Un inseguimento quello dell’ex presidente della provincia di Cosenza che sembra terminato. Prima della fine di settembre è stata infatti firmata la convenzione tra Occhiuto per il Comune e Mario Pagano per la nuova Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone. Quindi via libera a ricognizioni sul terreno, rilievi, catalogazione, indagini diagnostiche, monitoraggio e restauro dei beni archeologici, saggi di scavo, attività didattico-educative e divulgative, pubblicazioni e mostre anche multimediali sui beni archeologici mobili e immobili presenti nel territorio comunale di Cosenza.

Insomma un progetto di ricerca che coniuga la scoperta della sepoltura di Alarico con la “ricostruzione del contesto storico, archeologico, paleogeologico e topografico nel quale si colloca anche l’episodio della morte e sepoltura di Alarico nel letto del Busento”. Sulla scientificità del progetto, sul quale vigilerà un comitato composto dal soprintendente e dai funzionari Emilio Minasi e Giovanna Verbicaro per il ministero, oltre che da alcuni esperti del Comune, non sembra possibile avanzare dubbi. Al contrario insistenti perplessità permangono sull’operazione. Priva di copertura finanziaria, al punto che Comune e Soprintendenza si “impegnano a ricercare fonti di finanziamento, sponsorizzazioni ed erogazioni liberali”. Resa possibile, sul terreno, anche ricorrendo alle associazione di volontariato riconosciute dal Mibact. Ma soprattutto incentrata sulla convinzione che Alarico debba tramutarsi in un brand. In un grande attrattore turistico. “La storia del Tesoro di Alarico è molto più suggestiva di quella per esempio del mostro di Loch Ness che è una pura invenzione delle autorità del Regno Unito ai fini del rilancio turistico dei luoghi. Il mostro non è mai stato neanche avvistato; eppure il richiamo turistico ha funzionato tantissimo …”, scriveva il sindaco nel novembre 2015.

Già perché l’idea di Occhiuto è tutt’altro che recente. Nel novembre 2012 l’accordo con il Consorzio “Cultura e innovazione”, presieduto dall’ex ministro dei trasporti ed ex Rettore dell’Università di Reggio Calabria, Alessandro Bianchi, prevedeva all’interno del Museo dei Bretti, l’allestimento di sezioni dedicate a raccontare la vicenda legata al tesoro di Alarico. Poi un susseguirsi di iniziative, proposte. Anche un film. Addirittura monete di cioccolato “Tesoro di Alarico”. Fino all’ottobre 2015 quando, in una conferenza stampa alla Camera dei deputati, Occhiuto, insieme al giornalista Francesco Sisci, al geologo Amerigo Giuseppe Rota e al sindaco di Mendicino Antonio Palermo, lancia l’avvio delle indagini. Prima quelle diagnostiche con l’utilizzo di droni, georadar e proiezioni magnetometriche, poi quelle archeologiche. A quel tempo si diedero sei mesi per individuare la “preziosa” sepoltura e trovare qualche materiale da esporre nel nascente “Museo di Alarico“, il cui costo stimato si aggirava sui 7 milioni di euro. Le risorse le aveva autorizzate il Cipe nel 2012, a valere sui Fondi Sviluppo e Coesione destinati alla Calabria. Le ricerche, finanziate dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania “con poche decine di migliaia di euro”, durarono due giorni. Il tempo necessario alla Soprintendenza archeologica di notificare al Comune le mancate autorizzazioni. Uno stop evidentemente prevedibile, ma al quale Occhiuto non aveva pensato. Un passo falso, superato dalla recente stipula della convenzione con la Soprintendenza. Ora ad ostacolare il suo sogno non rimane più niente. Più nessuno. Neppure il Mibact, che attraverso la Soprintendenza avrebbe potuto ristabilire ordine nel disordine che regna in città. Sul suo patrimonio storico-archeologico.

“Con un centro storico che continua a segnalarsi per nuovi crolli di edifici in abbandono, al punto da costringere alla chiusura della centralissima Corso Telesio e con le aree archeologiche, a partire da quella di piazza Toscano, in precarie condizioni di conservazione, faccio fatica a pensare ad Alarico”, dice Battista Sangineto, professore di Metodologia della ricerca archeologica all’università della Calabria. Il punto è proprio questo. Puntare tutto sul re Goto. Farne l’attrattore culturale. Unico. Dimenticando sostanzialmente di fare di Cosenza una “città d’arte, del turismo, della bellezza, delle piazze monumentali”, come scritto da Occhiuto nel programma elettorale del 2016. Ma dimenticando anche di fare del “centro storico una sorta di quartiere SoHo …, dove i laboratori formativi riescono ad aggregare energie, fermenti giovanili, vivacità”, come il futuro sindaco prometteva nel programma del 2011. Da città dei Bruzi nel IV secolo a. C. ad “Atene della Calabria” tra XV e XVI secolo fino ad ora, città delle monete di cioccolato “Tesoro di Alarico”. Per una città che vorrebbe candidarsi a Capitale della Cultura nel 2033 il rischio di un autolesionistico ridimensionamento.

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