L’amore è il motore di tutto. Questa è la base da cui parte Arturo, pavido protagonista che supera i propri limiti per conquistare la mano della sua amata Flora. Ma la storia, purtroppo, è vera.

I nomi dei protagonisti della parte romanzata sono gli stessi del primo lavoro registico di Pif, La mafia uccide solo d’estate, e non è casuale e la cifra stilistica è la stessa, come dire, se la prima volta non ne conoscevi il linguaggio, oggi non hai scuse e se scegli di vedere un suo film, lo fai perché vuoi farlo. Sì, perché Pierfrancesco Diliberto, piaccia o no, ha una cifra sempre più riconoscibile e messa sempre più a fuoco.

Eleganza, ironia e sarcasmo ti conducono alla scoperta della storia, la nostra, realtà drammatiche che forse non tutti conoscono. E la mafia? Ancora la mafia? Eh già!

La mafia, un argomento talmente pungente da affrontare che, se prima ti davano un premio a prescindere, oggi, dopo tutti i buffoni che hanno svilito il concetto di antimafia, strumentalizzandone e giocando al drammatico ribasso etico, ci vuole una grande determinazione per continuare a volerne sviscerare le dinamiche. Così, se avete visto il primo film di Pif, immaginate una sorta di prequel e, dagli anni ’80/’90, facciamo un balzo indietro di circa 9 lustri.

Pif/Arturo è in America e da New York tornerà in Sicilia per la guerra, sì, ma per amore e ci racconterà un arco di tempo di cui abbiamo sentito parlare dando per scontato che i soldati americani potessero entrare automaticamente in Sicilia e, dunque, in Italia. Ma come? C’è qualche dettaglio quasi dimenticato che parrebbe nascosto con scienza delle scelte narrative della cinematografia italiana – e guarda caso anche dagli studi scolastici di massa. Un angolo geopolitico e storico che ha registrato in se stesso le radici di legami pericolosi, dannosi e simbiotici della nostra cultura e – appunto – politica nazionale. Legami e concessioni di cui ancora oggi scontiamo le volontà drastiche e drammatiche attuate per accordi ed interessi internazionali.

Mi ricorda, forse erroneamente, il termine “trattativa”. Perdonatemi, non vorrei risultare spregiudicato. Ma insomma, le volontà, le ragioni dello sbarco americano e il prezzo pagato dal nostro “bel paese”, sono tutte qui (o forse in piccola parte – dipenderà da ciò che si scoprirà ulteriormente) e arrivano a colpirci violentemente suscitando amarezza e rabbia ma, nonostante tutto, la poesia e la delicatezza di Pif riescono ad addolcirne l’assunzione mentale provocando, come dobbiamo saperci aspettare, anche grasse e spontanee risate.

In guerra per amore non è una pellicola facile, si muove su più livelli e richiede più visioni e letture successive; è certamente più impegnata rispetto alla precedente ed essendo la seconda opera di un regista è sempre pericolosa – specialmente se a prima volta si sono ottenuti grandi successi tra critica, premi e pubblico (senza contare gli innumerevoli ed immancabili hater).

Eppure, nonostante le paure che lo stesso Pif mi confidò quando aveva iniziato a scrivere (insieme a Michele Astori) la traccia di questa nuova avventura, posso dichiarare senza timore che, non solo è un film da vedere e rivedere ma, è soprattutto un documento importante che potrà essere proiettato nelle scuole per stimolare la curiosità delle nuove generazioni, per scoprire come e cosa sia successo in un momento in cui la comunicazione era il risultato delle scelte di pochi.

Il documento, la storia vera di cui parlavo e che funge da cardine per le ricostruzioni attorno alle quali si sviluppa il romanzo, è il Rapporto Scotten del 1943 e invito tutti voi, che leggete qui sul blog – se già non ne siete pienamente a conoscenza, a documentarvi, sui motori di ricerca e oltre (parlarne con storici, persone che abbiano vissuto quel periodo, cercare nelle biblioteche), perché ciò che viviamo oggi in Italia è conseguenza diretta di quelle dinamiche innescate e permesse. Proprio in tal senso alla fine del film le riflessioni vengono amplificate dalle documentazioni, ma non voglio dirvi di più.

Ho atteso a lungo prima di parlarvi di questo lavoro, ho assistito alla proiezione in anteprima il 12 Ottobre, con relative conferenze stampa, interviste e quanto altro, sono tornato al cinema a vederlo dopo alcuni giorni e ho riflettuto, conosco Pif e lo stimo profondamente ma se non fossi convinto della validità di questo lavoro non avrei speso un secondo per scriverne e parlarne in questo spazio. Andatelo a vedere.

Altri autori in altri articoli, hanno già descritto esaurientemente altri aspetti del film (fotografia, montaggio, musiche e sceneggiatura di altissimi livelli); qui voglio solo aggiungere due note: una è per la bravura di attori del calibro di Sergio Vespertino e Maurizio Bologna, anche se ancora poco noti al grande pubblico, donano al progetto qualcosa di magico e ne aumentano la cifra poetica e critica (purtroppo sempre più raro ritrovarne nella maggior parte delle attuali produzioni Made in Italy); due, è doveroso citare Miriam Leone che mi ha stupito, brava e perfetta nel ruolo di Flora; infine cito l’impeccabile Maurizio “Don Calò” Marchetti, Stella Egitto, e il meraviglioso Andrea Di Stefano (regista di Escobar) che interpreta il tenente Philip Catelli e gli altri tanti siciliani di cui vanto fierezza tra cui Totino e Gino Carista che, insieme al tutto il cast, regalano le venature delle profonde contraddizioni intrinseche alla nostra Sicilia ed Italia tutta.

Se non lo avete ancora visto, andate, buona visione.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Souq Film Festival 2016, quando il cinema crea ponti

next
Articolo Successivo

La Morte corre sul Fiume, come una fiaba dei fratelli Grimm tra simbolismo e poesia. Il film torna in sala restaurato grazie alla Cineteca di Bologna

next