I fan dei Timoria ricorderanno un loro vecchio brano, Storie per Sopravvivere, in cui Francesco Renga, a un certo punto, cantava: “Diego picchia di piùùùù…”. Quelli che Renga invita a picchiare sono i piatti e le pelli di tom e casse della batteria di Diego Galeri, che oggi, a distanza di anni dallo scioglimento dei Timoria, si divide in diversi progetti. Uno di questi è quello degli Adam Carpet, formazione dall’attitudine squisitamente strumentale che fonde elettronica, musica ambient e psichedelia. Niente rock, né metal, ma solo colpi precisi e misurati, ed energie dosate per Diego Galeri che la prende come una sfida: “È una cosa che mi sta piacendo un sacco, peraltro sto suonando quasi esclusivamente una batteria molto ibrida, che ha alcuni elementi acustici, anche se il core dello strumento è una batteria elettronica e l’approccio è molto diverso dalla batteria classica. Nei primi periodi non dico che ero in difficoltà ma è stato un po’ spiazzante, una sfida che comunque ha allargato il mio orizzonte di musicista”.
Il loro nuovo album si intitola Parabolas, uscito per Irma Records ed è composto da 8 brani, di cui consigliamo l’ascolto di Obsessed with casting e Just in case of wanting to be famous. “Il disco è nato in maniera inusuale – spiega Diego Galeri – perché abbiamo lavorato come fanno i producer di musica elettronica, suonandola però noi. È stata un’esperienza nuova e stimolante che ci ha permesso di spaziare e mescolare generi. È naturale per noi che siamo cinque musicisti con esperienze e un background molto diversi”. Parabole dalle direttrici sperimentali ed elettroniche, con testi visionari e titoli dei brani assolutamente psichedelici, senza alcuna chiave di lettura dal punto di vista testuale.
Diego, da qualche anno sei impegnato in diversi progetti, come sta andando questo con gli Adam Carpet?
Molto bene, abbiamo pubblicato da poco il nuovo disco in Italia e lo stiamo esportando anche all’estero, visto che è disponibile nei negozi di Regno Unito, Germania, Francia e di tutti i Paesi d’Europa. Stiamo ottenendo ottimi riscontri, ogni giorno escono articoli e recensioni e inoltre i nostri pezzi vengono passati sulle frequenze di varie radio europee.
Puntate dunque a uscire dai confini italiani?
La nostra musica crediamo sia adatta a un mercato più ampio, europeo, e visto che in Italia i posti in cui esibirsi, soprattutto per determinati generi, non sono così tanti, una volta esaurito il giro dei club che propongono un certo tipo di musica, poi non c’è altro da fare, quindi ci portiamo in altri Paesi la nostra musica.
Quali sono i motivi per cui incontrate certe limitazioni in Italia?
I motivi sono tanti e legati al modo in cui funziona il business musicale, che è cambiato molto rispetto a venti anni fa. Il modo di fruire la musica è mutato radicalmente, c’è stata a mio parere anche una regressione culturale nei confronti della musica da parte del pubblico, perché forse c’è meno interesse, c’è meno voglia di scoprire, meno attenzione e si tende a essere passivi, ascoltando le cose facili e che passano più spesso. Oggi con YouTube e con tutto quello che si trova in Rete, per vedere una band che suona dal vivo bastano 30 secondi… quindi piuttosto che andare a curiosare al concerto, si preferisce guardare un filmato dal vivo di una band in casa propria.
Fai riferimento al periodo d’oro che è quello degli anni Novanta, in cui anche i Timoria, di cui facevi parte, esplosero: e se avesse ragione Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, che è convinto che si trattasse semplicemente di una moda?
Sicuramente c’era una energia globale, universale, che spingeva i ragazzi a condividere determinate esperienze legate alla musica, soprattutto a quella dal vivo, e poi c’era lo scambio dei cd, dei vinili, delle cassette. C’era tutto un movimento che creava gruppo, interconnessioni tra le persone. Oggi le relazioni sono veicolate dal computer, dal tablet, dallo smartphone e quindi c’è meno voglia di andare a cercare cose e di condividerle.
Oggi c’è molta più musica rispetto al passato, chiunque può fare un disco. Il problema è riuscire a emergere e vivere grazie alla musica.
Credo che al momento non ci sia soluzione al problema. Sono rimasti i big che hanno ridimensionato i loro introiti e si è ampliata la categoria degli hobbisti.
Il sistema che tritura tutto fa sì che il contenuto sia trasformato in un orpello, e il contenitore nell’oggetto del desiderio. I Beatles di oggi sono gli iPod, iPad e simili, e siamo stati tutti indottrinati affinché sia legittimo pensare di spendere 800 euro per comprare un cellulare che contenga tutta la musica del mondo, ma non siamo disposti a spendere un euro per quella musica.
Sono d’accordo. È anche vero che culturalmente la musica in Italia ha sempre avuto una considerazione ben diversa rispetto ad altri Paesi, come quelli del Nord Europa. Ricordo che negli anni 90, quando ci esibivamo spesso fuori dall’Italia con i Timoria, che la famiglia media andava al supermercato e oltre a comprare generi alimentari magari nel carrello della spesa metteva un cd. Qui da noi è una cosa che non ho mai visto.
Parabolas è il secondo disco che esce sotto l’insegna Adam Carpet: se riascolti il disco c’è qualcosa che ti sorprende in positivo o in negativo?
In negativo direi di no, visto che sono molto soddisfatto del lavoro che ne è venuto fuori. In positivo mi colpiscono alcune soluzioni che ha trovato Giovanni Calella in fase di post produzione, e la cosa che mi piace di più è la capacità di creare atmosfere diverse, sempre legate a una certa melanconia, e al mondo sognante che ne vien fuori.