Unica regia dell’attore Charles Laughton (Testimone d’accusa, Spartacus), la pellicola fu uno degli esordi più clamorosi della storia del cinema, ignorato e incompreso nell’anno in cui uscì (1955), divenne più tardi tra i thriller goticheggianti più amati da pubblico e critica, finendo anche sui manuali di cinema per l’uso di luce e ombre (la fotografia è di Stanley Cortez, che già aveva lavorato sui contrasti espressionisti de L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles) e per la sua sinuosa e precisa grammatica compositiva.
“Love” e “Hate”. Due parole, tatuate lettera per lettera, sulle dita della mano destra e della mano sinistra. Un cappello a falda larga. Una lunga ombra sui muri. La faccia di Robert Mitchum. Ecco Harry Powell, il predicatore assassino vestito di nero, uno dei personaggi più inquietanti della storia del cinema, protagonista de La morte corre sul fiume. Film che torna restaurato nelle sale italiane a partire da lunedì 7 novembre 2016, presentato dalla Cineteca di Bologna nell’ambito del progetto Il Cinema Ritrovato. Unica regia dell’attore Charles Laughton (Testimone d’accusa, Spartacus), la pellicola fu uno degli esordi più clamorosi della storia del cinema, ignorato e incompreso nell’anno in cui uscì (1955), divenne più tardi tra i thriller goticheggianti più amati da pubblico e critica, finendo anche sui manuali di cinema per l’uso di luce e ombre (la fotografia è di Stanley Cortez, che già aveva lavorato sui contrasti espressionisti de L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles) e per la sua sinuosa e precisa grammatica compositiva.
Virginia Occidentale, anni trenta, lungo il fiume Ohio. Dopo aver tentato di estorcere indicazioni al compagno di cella morente su dove si trovano i 10mila dollari nascosti del bottino di una rapina, il reverendo Powell va alla ricerca dei figli – un maschio e una femmina – e della vedova del defunto. Con abile oratoria da predicatore l’uomo si fa ben volere e si insinua nella casa dei tre: sposa la donna, sollecita i bambini depositari del segreto a confessargli dove sono i soldi, ma quando la madre scopre cosa lui vuole veramente Powell la uccide. Da questo momento in avanti inizia probabilmente la parte più affascinante e memorabile del film. Perché i due bambini, sempre diffidenti verso Powell, soprattutto il maschietto fuggono col favore delle tenebre e con i soldi del bottino su una barchetta lungo il fiume vicino a casa. Spinti dalla corrente e con l’uomo ossessionato che li insegue, si fermano e trovano infine rifugio nella casetta dell’anziana Rachel. La donna li adotterà e si opporrà a Powell con tanto di fucile e ricorso alla polizia, fino a quando il folle predicatore non verrà arrestato e, infine, quasi linciato dalla folla.
L’inquietante storia – ispirata al vero Harry Powers detto anche il Barbablù di Quiet Dell che uccise nel ’32 due donne e tre bambini – è basata sul libro scritto nel 1953 da Davis Grubb, poi sceneggiata da James Agee, e interpretata da un Mitchum statuario e beffardo in perenne soliloquio con Dio, icona del noir statunitense anni quaranta e cinquanta, sette anni prima di diventare l’altrettanto violento e sadico galeotto Max Cady de Il promontorio della paura. Laughton gira una sorta di fiaba alla fratelli Grimm, dove non risparmia venature spaventosamente horror, un umorismo subdolo e una serie di invenzioni visive che richiamano l’espressionismo tedesco anni venti. Non da meno è il sottotesto più sociale e politico, quel filo rosso legato alla “bible belt”, a quella parolaia e inquietante intromissione del religioso nella cultura e nella quotidianità della provincia rurale americana con il mescolarsi continuo di contrastanti sentimenti tra esseri umani come l’avidità e l’innocenza, la seduzione e il peccato.
Girato in soli 36 giorni, film per adulti ma con due bimbi sostanzialmente protagonisti, insolito e impopolare per il suo tempo (era in bianco e nero quando era di moda il colore, in 4:3 quando furoreggiava il Cinemascope), La Morte corre sul fiume rimane altrettanto memorabile per il simbolismo della sua poesia visiva fatto di creature oniriche, personaggi fanatici, bambini in pericolo, la salvezza e la redenzione sotto forma di una vecchia fattoria con una fata madrina, e quel contrasto etico tra bene e male impersonato dal predicatore che sembra un diavolo.
L’uso delle falangi pittate con lettere in stampatello come per Powell/Mitchum ritorna nei Blues Brothers (Jake/Belushi ha scritto Jake sulle dita della mano destra, Elwood/Aykroyd ha scritto ‘Elwo’ sulle falangi della sinistra e le rimanenti ‘od’ nella destra); in Fa’ la cosa giusta di Spike Lee con Radio Raheem/Bill Nunn inanellato che boxa come Cassius Clay e spiega la storia di Love and Hate; e ancora Love e Hate tatuati sulle nocche del motociclista Eddie/Meat Loaf in The Rocky Horror Picture Show (1975). Di The Night of the Hunter esiste addirittura un terrificante remake del 1991. Più che paura c’è da sbellicarsi dalla risate.