Il Comune di Milano prova da giugno ad archiviare il vecchio bando per l’assegnazione di quattro aree destinate a luoghi di culto, promosso dalla precedente giunta di Giuliano Pisapia. Motivazione ufficiale: la legge regionale anti-moschee impone un nuovo iter per la realizzazioni dei luoghi di culto. Il vecchio percorso non funziona più. Ma il Caim, coordinamento di 25 associazioni islamiche di Milano e Monza, non ci sta e chiede a Palazzo Marino di stare dalla sua parte e non difendere la legge voluta da Roberto Maroni. Due delle associazioni federate si erano viste riconoscere due dei quattro spazi messi a disposizione dal Comune. E per mantenerli, il coordinamento aveva ingaggiato una guerra di carte bollate prima con un’altra associazione (la Casa della cultura islamica di Milano), poi con il Comune, riuscendo sempre a spuntarla. Per questo il Caim ha depositato un ricorso al Tar contro Palazzo Marino per vedersi riconosciuta almeno una delle due aree assegnate, quella vinta dalla Bangladesh Cultural Welfare Association, in via Esterle. “L’amministrazione dice che Milano è la capitale dei diritti. Ma non può esserlo finché non sarà tutelata la libertà di culto. Il Comune scelga se tutelare la libertà di culto oppure la legge regionale antimoschee”, dice l’avvocato del Caim Reas Syed.

Il Caim ha affidato il ricorso al legale Lucio Quarta, che spiega: “A nostro parere la legge è anticostituzionale”, perché impone delle norme di costruzione molto stringenti – paragonabili a quelle di un centro commerciale – solo se uno spazio deve ricevere la destinazione di uso religioso. “Il Comune – prosegue – avrebbe potuto adottare altri provvedimenti per difendere il bando contro la legge regionale”. Ma così non è andata. La legge regionale voluta dalla Giunta Maroni aveva già ricevuto una prima bocciatura dalla Consulta ed era stata riscritta. Ma questo, secondo l’associazione islamica, non toglie l’incostituzionalità di principio. “Speriamo che con un giudizio favorevole del Tar si possa innescare un domino per fermare questa legge, visto che è stata ricalcata anche in Veneto e Liguria”, spiega il coordinatore del Caim Davide Piccardo. Il ricorso, finora, si concentra solo sull’archiviazione illegittima del bando, rinunciando per il momento a chiedere risarcimenti economici per le spese finora sostenute e rinunciando anche all’altra area assegnata al Caim, quella dell’ex Palasharp.

Il 3 novembre, intanto, il Comune ha dato il via al suo nuovo percorso, alternativo rispetto al bando. Palazzo Marino ha ricevuto le prime 23 “manifestazioni di interesse” delle associazioni religiose di Milano – finora costrette a pregare in luoghi abusivi – che vogliono partecipare all’iter di due anni per poter inserire i propri spazi nel Par (Piano di attrezzature religiose), con il quale otterranno la destinazione dei loro spazi a luoghi di culto. Tra queste, ce ne sono alcune (come la turca Milli Gorus) che fanno parte del coordinamento del Caim. Altre, come la Casa della Cultura islamica o la moschea di viale Jenner, partecipano pur senza avere più speranze nel Comune, spiegano i referenti Asfa Mahmoud e Abdel Shaari.

Delle 23 associazioni interessate, 14 sono non musulmane. E tra queste le più numerose sono quelle evangeliche. Dal 2013, quando è entrata in vigore la legge anti-moschee, sono stati chiuse 26 chiese del Coen, Conferenza evangelica nazionale. Spiega il pastore Riccrdo Tocco, presidente del Coen: “Qualcuna si trovava anche in un immobile di proprietà, ma non aveva la destinazione d’uso a luogo di culto. Siamo i più colpiti da questa legge, che desta per noi grandissima preoccupazione”. Tanto che secondo lui la legge andrebbe ribattezzata “anti-culto”. Il pastore sostiene che al momento l’unica speranza per chi si vuole vedere riconosciuto in Lombardia il diritto di culto è che passi il Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre, “perché la materia tornerebbe di competenza nazionale e non più regionale”.

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