Ho già scritto in questo spazio di quanto ami l’Italia, i nostri prodotti, la cura per la qualità e per la ricerca della bellezza, quel tocco in più che diamo a quanto vendiamo nel mondo, per cui vi siamo riconosciuti.
Dopo un anno e mezzo di lavoro nel Sud Est Asiatico, ho avuto la fortuna di rientrare come responsabile europeo di uno store online del lusso, che vende moda, cosmetica, arredamento e design solo nel mercato cinese, parte del più grande gruppo e-commerce del mondo. Da italiano che ha vissuto in Asia posso dire che ci sono centinaia di milioni di persone che desiderano, vogliono e possono comprare in misura sempre maggiore lo stile e la qualità della vita italiana.
– Abbiamo una classe medio-alta cinese di 360 milioni di persone, che raddoppierà entro 5 anni.
– Il 30% del consumo del lusso mondiale è già cinese.
– Il volume degli acquisti online in Cina sarà di un trilione di dollari nel 2018.
– La Cina peserà per il 40% dell’e-commerce mondiale nel 2019.
– Il 45% degli acquisti del lusso in Cina già oggi sono online.Per un consumatore cinese sempre più educato e sofisticato, l’origine dei prodotti europea, ed italiana in particolare, è ormai il primo fattore di scelta.
Questo ci porta a vivere uno dei momenti con maggiore possibilità di sviluppo per le nostre aziende, grazie al valore intrinseco di un marchio che nessuno ha, il terzo più conosciuto al mondo, e che può solo esserci invidiato, il Made in Italy. Le nostre aziende potranno esportare di più, crescere, aumentare l’occupazione se sapranno cogliere le opportunità che il mercato globale offre, se sapranno aprirsi all’Asia, e se lo faranno attraverso i canali giusti, quelli digitali.
Perché parlo di export e di Made in Italy collegandolo al referendum costituzionale sul quale si voterà il 4 dicembre prossimo?
Perché ho avuto la fortuna fare un’esperienza nei Paesi che crescono di più al mondo e che domineranno economicamente questo secolo.
Ho avuto la fortuna di confrontarmi in Asia, come tanti lavoratori italiani fanno in giro per il mondo, con tedeschi, francesi, singaporiani, americani, cinesi, e parlare con loro di business e politica, dell’Italia e dell’Europa.
E coloro che guardano al nostro Paese da lontano danno per forza di cose giudizi semplificati, senza idea alcuna della complessità di tutto il dibattito interno che ci appassiona e che giustamente stiamo facendo. Investitori privati e istituzionali, americani e asiatici, che gestiscono miliardi e decidono dove investirli, e allo stesso tempo i consumatori globali, o i distributori online che decidono di comprare più o meno prodotti di un Paese, definiscono le proprie scelte su aspetti molto semplici: uno dei principali è la reputazione.
Il Made in Italy ha una reputazione straordinaria guadagnata in decenni di prodotti di qualità. Tuttavia, l’Italia come Paese, come insieme organizzato di lavoratori e aziende, ha purtroppo una reputazione parzialmente negativa, che ci taccia di disorganizzazione, inaffidabilità, mancato rispetto delle regole.
Negli ultimi anni questo trend è cambiato, nonostante vi sia una parte di Paese che continua a sottolineare gli aspetti negativi e tenda a bloccare ogni tipo di rinnovamento.
La politica ha iniziato a scegliere, a fare, a mettere in campo delle riforme, velocemente e con forza.
Lo dico con la serena consapevolezza di attirarmi gli strali di molti lettori di questo sito (e giornale).
L’Italia è diventato l’unico argine politico allo strapotere tedesco in Europa e abbiamo visto un Presidente americano – Barack Obama – invitare per la sua ultima uscita ufficiale il rappresenatnte del governo italiano, Matteo Renzi.
Con la certezza che la decisione che prenderemo sarà soltanto una decisione degli italiani, per chi ci guarda dall’estero, per investire o semplicemente comprare, una scelta del SI’ vorrà dire continuare sulla strada del cambiamento, scegliere un Paese più forte e stabile, più efficiente e affidabile.
Oppure vorrà dare la dimostrazione che in Italia nulla può cambiare, che si preferisce sempre e comunque l’immobilismo, che ci piace restare nell’insoddisfazione. Un’Italia che si riforma è un Paese che rende più veloce ed efficiente il suo processo legislativo, più efficace la suddivisione dei compiti tra Stato e Regioni, che taglia i suoi costi e aumenta la partecipazione popolare. È un Paese che in tal modo rafforza la sua posizione in Europa e ha più forza per sostenere l’export delle sue aziende nel mondo, per unire al fascino del Made in Italy un’affidabilità e serietà che ne aumentano la reputazione e il valore, e quindi la richiesta.
È un’Italia che attraverso il digitale sarà in grado di vendere più macchine, vino, cibo, moda, arredamento, perché vi sarà maggior fiducia nella capacità delle aziende di consegnare in tempo e rispettare gli accordi presi.
Troppi purtroppo non hanno idea di quanto sia frustrante per chi lavora all’estero dover sudare doppiamente per convincere i propri interlocutori che la forza – e non la debolezza – della propria azienda sta proprio nell’essere in Italia.
Possiamo vendere sempre più prodotti italiani nel mondo grazie all’Italia, non nonostante l’Italia. Per farlo abbiamo bisogno di proseguire nel cambiamento, scegliere il rischio di andare avanti invece di stare fermi, scommettere sul futuro invece che lamentarci del presente rimpiangendo il passato.