Resa dei conti dentro il partito in seguito agli attacchi renziani alla Leopolda contro la minoranza dem. L'ex segretario: "Si risparmiassero il fiato". Il vice di Renzi: "Ha provato a sabotarci, nostri chiedono unità". Speranza a Repubblica: "Sono incazzato e ancora più determinato a fare campagna contro la riforma"
“Siete arroganti”. “Tu sei stato sleale”. “Renzi ha sentito i cori ‘fuori fuori’ contro di noi e non ha detto niente”. “La platea ha reagito perché chiede unità”. Nel Pd è scontro totale: da una parte Pierluigi Bersani e Roberto Speranza, dall’altra il presidente del Consiglio e i vertici del gruppo (vedi Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani). Mancano le pernacchie e poi il quadro è completo: il Partito democratico a 28 giorni dal referendum sulla Costituzione si perde, ancora una volta, nel bicchier d’acqua delle liti interne. A far scatenare la minoranza dem questa volta è stato il processo andato in scena alla Leopolda: il presidente del Consiglio ha dato in pasto i dissidenti alla folla che ha reagito con i fischi e invocandone l’epurazione. Il silenzio del leader è stata la ciliegina finale e questa mattina l’ex segretario Pierluigi Bersani ha
Renzi e i suoi: “Fronte del No vuole dare la spallata al governo”. “Bersani stravolge la realtà” – Se c’è stato un tempo in cui si cercava di moderare i toni, mai come oggi sembra lontano. La conferma direttamente da Matteo Renzi, che sulla consueta e-News ha risposto alle critiche di Bersani con un altro attacco. Nelle parole del premier, tuttavia, il nome dell’ex segretario non appare mai: “Più andiamo avanti e più è evidente che i leader del fronte del No usano l’appuntamento del 4 dicembre per tentare la spallata al Governo. Vogliono tornare loro a guidare il Paese e si rendono conto che questa è l’ultima chance. Ecco perché da Berlusconi a D’Alema, da Monti a De Mita, da Dini a Cirino Pomicino fino a Brunetta, Grillo e Gasparri stanno tutti insieme in un fronte unico. Provate a chiedere loro su cosa andrebbero d’accordo: su nulla, probabilmente. Solo sul dire no”. Per il vicesegretario Lorenzo Guerini invece quella di Bersani è una “posizione strumentale”, di chi ha evitato di sedersi al tavolo per trovare una mediazione: “In questi giorni”, ha detto a Radio Rai, “abbiamo lavorato per trovare un’intesa sulla legge elettorale, e mentre lo facevamo tutti i giorni fioccavano dichiarazioni che puntavano a sabotare questo tentativo. Credo che bisognerebbe misurare le parole. E provare a spiegare la coerenza rispetto a voti che sono stati dati in Parlamento. Bersani ha votato la riforma in tutte le sue letture, vedere un cambio di opinione crea sconcerto nel nostro elettorato e nella base”. Guerini ha anche difeso i cori della Leopolda, pur dicendo di non condividerli: “Non è certo stato Renzi a dire ‘fuori’. Parte della platea ha reagito così, in un modo che non condivido, rispetto ad atteggiamenti incomprensibili e sconcertanti. La nostra comunità chiede unità e lealtà. E questa lealtà è spesso venuta meno in questi ultimi mesi. Nel momento in cui si sta facendo uno sforzo nel partito per trovare un’intesa, bombardare quotidianamente l’attività della nostra commissione e delegittimarla non mi pare un grosso contributo all’unità”. L’altra vicesegretaria Debora Serracchiani non è da meno: “Bersani non stravolga la realtà“, ha detto, “ed eviti polemiche fuori luogo: Renzi non ha mai detto ‘fuori’ a nessuno”. Un tentativo di liquidare le polemiche, anche richiamando l’ex leader all’ordine: “Da chi è stato segretario del nostro partito ci aspettiamo compostezza e proporzione anche nella dialettica più aspra. Chi ha ricoperto alte cariche ha il compito di rappresentare sempre al meglio il partito. Nel Pd si lavora e si dovrebbe sempre lavorare per l’unità, mai per dividere. L’auspicio è che questo intento sia saldamente condiviso”.
La minoranza: “Renzi vuole le mani libere” – Il Partito democratico si prepara all’ultima volata della campagna elettorale tra malumori e polemiche interne. Solo sabato Gianni Cuperlo ha deciso di firmare la bozza per le modifiche dell’Italicum e annunciare il suo Sì al referendum. E’ bastato per essere accusato di tradimento, ma non per trascinarsi gli altri esponenti della minoranza. Renzi sul palco della Leopolda ha potuto rivendicare quella firma come la vittoria del capo che ha mediato con i critici e ha lasciato che i suoi se la prendessero con chi ancora una volta non ci sta. Perché c’è una parte della minoranza che la bozza non ha nemmeno voluto vederla: “Renzi vuole le mani libere su un punto sul quale non mi sento di dire ‘sto sereno'”, ha commentato ancora Bersani. “Io per stare sereno voto ‘No’ perché tecnicamente salta l’Italicum con il No. Poi gli altri facciano quello che ritengono, ma io, in coscienza e pensando all’Italia, non accetto questi rischio”. Bersani ha anche rivendicato la sua scelta di parlare in pubblico contro la legge Boschi: “Dicendo la mia posizione, non pretendo di dettare il compito, di arruolare né di fare comitati. Se mi chiamano a parlare di Costituzione, ci vado e dico quello che penso se è ancora possibile parlare”.
Stesso spirito per l’ex capogruppo Roberto Speranza: “Sono incazzato”, ha detto in un’intervista a Repubblica, “e ancora più determinato a girare l’Italia per rappresentare e spiegare le ragioni del No. Ho ricevuto valanghe di messaggi di compagni che mi dicono ‘tenete duro’. Il presidente del Consiglio doveva fermarli”. Il deputato ha anche ribadito che non se ne andrà “neppure con le cannonate dal Pd “che non è il Partito di Renzi”: “Alla Leopolda c’era una curva di tifosi che sembra non avere consapevolezza che Renzi sta guidando l’Italia, non è un derby. Qualsiasi sia l’esito del referendum io mi impegno a restare nel Pd che però non è il PdR. Renzi si comporta più da capo degli ultrà che da leader. Dovrebbe unire, invece quelle urla sono simbolo dell’arroganza di chi pensa di avere la verità in tasca. È lo spirito di quel ‘ciaone’ al referendum sulle trivelle”.
La minoranza tutta è in subbuglio. I cori che per il renziano Matteo Richetti sono stati solo “la voce di due o tre persone”, sono stati accolti con il gelo di buona parte del partito che guardava in televisione il dibattito. “Renzi ha trasformato la Leopolda in un bunker del Sì”, ha commentato il senatore della minoranza Miguel Gotor. “L’Italia, quella vera, è rimasta fuori e assiste attonita allo show autoreferenziale di un premier che continua a farsi dare la linea – scenografica e ideologica – dai coniugi Rondolino. Che il segretario di un partito non avverta l’esigenza di placare il grido “fuori fuori” dei suoi supporter vecchi e nuovi, la dice lunga sulle sue effettive capacità di direzione politica”. Anche per il deputato Nico Stumpo il documento sull’Italicum è una presa in giro: “Non può essere un documento irrispettoso delle intelligenze di ciascuno di noi a fugare i dubbi sui rischi in questione. Non mi meravigliano, invece, i toni di Renzi, dopo tutto sono 7 anni che continua a fare il capopopolo piuttosto che il leader. Sia rispettoso delle scelte di tutti e faccia il mestiere al quale è stato chiamato, ossia il Presidente del Consiglio, e non l’arruffapopolo”.