Come si usano i dati economici? Il problema non sono i numeri, o i politici che legittimamente provano a piegarli a una narrazione predefinita, il problema sono i media. O meglio, il problema è il ruolo che giornali e informazione televisiva assumono quando la comunicazione politica diviene volutamente stordente.
È da oltre un anno e mezzo – da quando la macchina dello staff di Palazzo Chigi si è messa in moto per giustificare la riforma del lavoro attraverso i dati su occupati e contratti – che i limiti della categoria sono evidenti. La colpa è collettiva. Spesso si leggono titoli come: “Giù gli occupati stabili”, quando invece si parla di contratti di lavoro. E questo è l’errore meno grave a cui si è assistito in questi mesi. Il “caos dei dati” – espressione usata dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva – ormai riguarda un po’ tutto, dall’andamento del Pil agli effetti delle misure contenute nella manovra finanziaria.
I media, a qualsiasi tipologia essi appartengano, non sono delle bussole neutre, nemmeno nel sempre lodato giornalismo anglosassone. Ai lettori viene sempre offerta una lettura dei numeri che ogni giorno ci vengono forniti, altrimenti c’è il comunicato stampa dell’ente che ha prodotto i dati e ognuno si fa la sua idea.
Ma non sempre funziona così. Quando vengono offerte in diretta tv le slide con i risultati dell’azione del governo, lo si fa proprio scimmiottando questa idea: “Questi sono i numeri, sotto c’è la fonte”. Niente trucco e niente inganno. Nessun dato, però, anche quando non volutamente falsato, riesce da solo a fornire un’informazione corretta e completa. Senza spiegare qual è il contesto all’interno del quale si inserisce può addirittura essere fuorviante.
Vale per il “record di recupero dell’evasione fiscale” come per i grandi piani di investimento (edilizia scolastica, dissesto idrogeologico etc.) annunciati. Ed è quello che, se vorrete partecipare al corso “Come si usano i dati economici” (sabato 12 novembre), proverò a trasmettervi.
È chiaro che per potersi districare in questo “caos” servono mezzi e strumenti idonei. Conoscere le fonti dei dati, e capire come leggerli permette al giornalista di essere d’aiuto al lettore, e a quest’ultimo di farsi un’idea senza dover per forza prendere per buona la lettura fornita dal primo.
Le informazioni statistiche non sono appannaggio del governo o della stampa: se adeguatamente interpellate, servono a restituire con maggiore limpidezza i contorni delle vicende che tutti i giorni si affacciano nel dibattito pubblico. E a distinguere la propaganda dall’analisi fattuale.