Hillary Diane Rodham Clinton, a pochi giorni dal suo compleanno, (69 anni compiuti il 26 ottobre scorso), avrebbe potuto essere la prima Presidente degli Stati Uniti, (non il primo Presidente donna degli Stati Uniti.)

La storia è andata diversamente, ma la sua candidatura alla maggiore carica politica in uno dei più importanti paesi del mondo democratico, piaccia o meno, è stata storica fin dal primo momento. In molti luoghi del mondo ci sono donne che indicano strade di cambiamento, ed è ben vero che non è sufficiente essere una femmina per cambiare in meglio le cose. Resta il fatto che a una donna che si è spesa per i diritti delle sue simili, gli Stati Uniti hanno preferito un uomo che le donne non le rispetta. Se Donald Trump sarà in grado di realizzare solo la metà delle sue promesse elettorali c’è di che avere tanta paura.

“Una donna non è mai andata così in alto, non ha mai osato così tanto, prima di Hillary”, dice nel suo video di supporto Robin Morgan, attivista femminista e autrice del best sellers Il demone amante. In esso Morgan racconta, a 75 anni, di aver sperato in questa vittoria invitando le giovani a votare per Hillary, evocando una vita costellata di attese e di richieste di permesso per poter fare cose ovvie per un maschio, (come candidarsi alla presidenza) ma interdette alle femmine per il solo fatto di esserlo. La sua pagina Facebook è ferma sull’immagine della firma sulla scheda per Hillary Clinton, con il commento “Il mio voto per il futuro”.

Ieri in Italia molte persone hanno festeggiato la notizia della caduta dell’imposizione del cognome paterno, (si nasce da una donna, è bene ricordarlo, e ora sarà anche evidente nella trasmissione del simbolo identitario per eccellenza): ci siamo addormentate sognando che si trattasse di un segno di buon auspicio, ma abbiamo avuto torto. Non è il momento di gioire: le bambine del mondo non possono (ancora) dire, per ora solo sognare, come le loro madri prima di loro, che sì, si può diventare Presidente, oltre che ballerina, astronauta, chirurga, sindaca e vigile del fuoco. E’ la differenza tra lo stare a tavola insieme agli uomini piuttosto che servire a quella tavola. Ancora in cucina, dice questa terribile elezione.

Ogni volta che una donna varca una soglia interdetta per il genere femminile, specialmente nei luoghi della rappresentanza, e lo fa nel nome della parità, delle pari opportunità e dell’uguaglianza tra i generi questa sfida al patriarcato diventa un gesto di portata simbolica straordinaria.

Non deve essere stato facile vestire i panni di moglie del fragile Bill ai tempi del noto scandalo sessuale: in molte non capirono il suo continuare a stargli accanto.

Oggi un uomo che è stato Presidente degli Usa avrebbe potuto essere il marito della Presidente. Non era per nulla scontato che questa pagina si scrivesse, dopo la prima, epocale, di un afroamericano alla White House. Hillary Diane Rodham Clinton non ce l’ha fatta, quel tetto di cristallo resta infrangibile. Si diranno molte cose a spiegazione della sua sconfitta, anche giuste, ma resta il fatto che a lei come donna è stato preferito un uomo che ha progetti per il mondo davvero inquietanti, e che ha ampiamente dichiarato cosa pensa del genere femminile.

Oggi non è bella giornata, è una giornata nella quale resta sogno il sogno di molte.

Non possiamo scrivere “benvenuta, Presidente”.

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