Jasmina è una giovane donna di 24 anni; da lunghi mesi trascorre la sua vita in carcere, in custodia cautelare e in cella con lei vivono anche i suoi figli più piccoli: Lolita, di due anni e Diego, di pochi mesi, mentre il figlio più grande vive con la nonna. La piccola famiglia vede le nuvole dalle sbarre delle finestre della cella mentre il quotidiano è scandito da attimi di speranza, gesti di resilienza, lunghe attese, ritagli di intima disperazione. In queste condizioni ogni gesto diventa importante per non smarrire il contatto con le cose reali: il pranzo, le passeggiate lungo i corridoi del carcere, il bagnetto, il gioco tra madre e figli. In ogni momento Jasmina è lacerata dalla scelta di continuare a mantenere i propri figli vicino, in un luogo che lei sa bene non essere adeguato alla loro crescita, e quella di lasciarli liberi, affidandoli a parenti, lontani da lei per un tempo che neanche lei sa quanto potrà durare.
Grazie al paziente lavoro della regista Rossella Schillaci, la storia di Jasmina è diventata un film Ninna nanna prigioniera, e oggi verrà presentato presso le sale del Senato. Il racconto, intimo e discreto, accompagna da vicino il quotidiano della piccola famiglia, disegnando il ritratto di una maternità sofferente ma sempre lucida e responsabile nelle scelte e di un’infanzia capace di trovare, nel grigiore carcerario, un’energia vitale e innocente che ridà colore e senso ad ogni gesto.
In molte scene si coglie una Jasmina incapace di comprendere il perché di una pena così dura a cui anche i suoi figli sono condannati. Non sa che la Costituzione italiana dovrebbe garantirle il rispetto della dignità umana e il principio della finalità rieducativa e risocializzante della pena detentiva. Non conosce il lungo elenco di Leggi, Decreti, Circolari, Risoluzioni, Convenzioni ONU e Protocolli che dovrebbero assicurarle una esistenza diversa.
Ma Jasmina, Diego e Lolita non sono soli; solo quest’anno sono risultati presenti nelle carceri italiane 38 madri con 41 figli.
Dal 2011 la legge n. 62 ha disposto che le madri con figli al di sotto dei sei anni debbano scontare la loro pena in strutture alternative, denominate Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (ICAM), luoghi colorati, privi di sbarre e progettati a misura di bambino. Dopo cinque anni dall’entrata in vigore della legge, però, solo 4 città (Torino, Milano, Venezia, Cagliari) hanno realizzato tali strutture e l’obiettivo della legge rischia di rimanere incompiuto.
Una decina di bambini, solo nella città di Roma, stanno passando la loro esistenza nel carcere di Rebibbia, con i problemi causati dalla vita carceraria: irrequietezza, predisposizione al pianto inconsolabile, difficoltà di sonno, inappetenza, apatia.
Nell’Atto di indirizzo per l’anno 2017 del Ministero della Giustizia vengono poste tra le priorità la realizzazione di nuovi ICAM sottolineando, nella specifica situazione romana, l’avvio del progetto “La Casa di Leda”, un’alternativa al carcere che ha avuto la sua genesi grazie ad un Protocollo di Intesa tra il Ministero della Giustizia, il Comune di Roma e la Fondazione Poste Insieme per l’accoglienza di sei mamme con i loro bambini. Nel maggio 2015 il Comune di Roma ha individuato come struttura l’immobile in via Kenya, in zona EUR, sequestrato alla criminalità organizzata. Insomma, tutto sembra pronto per iniziare.
Ma, come affermò l’allora assessora Francesca Danese: «Fa più rumore un bambino che gioca che un mafioso che fa affari». Infatti, dopo l’annuncio della destinazione d’uso della struttura è seguita la protesta urlata degli abitanti del quartiere, dell’Associazione “Ripartiamo dall’EUR” e del Comitato di quartiere “EurInsieme”.
E così la “Casa di Leda” è pronta ma la sua porta d’ingresso resta ancora sbarrata. Non lo è il portone del palazzo vicino, dove troneggia la milionaria “Nuvola di Fuksas”, inaugurata nei giorni scorsi con una liturgia da “mille e una notte”. Quelle vere, di nuvole, i bambini di Rebibbia continuano a vederle a strisce, aspettando di uscire, come racconta la presidente dell’Associazione “A Roma Insieme” – che da due decenni si prende cura dei piccoli reclusi di Rebibbia: «Quando i bimbi escono fuori dal carcere guardano le nuvole, e il mondo sotto le nuvole, con uno stupore che non smette di intenerirci».
E’ vero: è importante intenerirci per i bambini che contemplano una nuvola del cielo romano ma anche vergognarci per le nostre esistenze senza cuore, sospese e finte come la nuvola di Fuksas.