“Hillary sei licenziata!”.

La star di “The Apprentice” Donald Trump travolge la Clinton e vince la Casa Bianca grazie al “cittadino medio incazzato” (cit. dal New York Times), che non ha ricevuto risposte adeguate sulla crisi economica dalla politica tradizionale. Un fenomeno che l’Ue ha già conosciuto: con la vittoria della Brexit in Gran Bretagna, la crescita della Le Pen in Francia e il M5S in Italia. Sono le 3 facce europee della stessa medaglia americana, sia pure con colori profondamente diversi: è un dato di fatto che il M5S non ha rappresentato, e anzi ci ha salvato, dalle derive autoritarie, xenofobe, razziste, di estrema destra che abbiamo visto in altri paesi.

Ma il successo di Trump impone secondo me anche altre riflessioni, sul perché abbia vinto e soprattutto sul perché gli altri abbiano perso.

Trump vince da solo, anche contro il suo partito, che nella campagna elettorale, quando sono venuti fuori gli scandali sessuali, l’ha sostanzialmente scaricato. Vince da outsider, fuori e contro l’establishment, unendo però sia la pancia rurale della provincia americana, sia il salotto buono newyorchese della Trump Tower. Vince promettendo il sogno americano, il successo, la ripresa dopo una crisi che ancora morde, anche contro gli immigrati che “ti rubano il lavoro”.

Ma Trump vince, anche e soprattutto, perché perdono Hillary e Obama, la “politica tradizionale” che in questi anni non ha saputo dare risposte sufficienti ai cittadini. Obama con un’amministrazione inferiore alle attese e Hillary – che oggi se la prende col sessismo e dice “Donne non vi scoraggiate, il tetto di cristallo si romperà” – rappresentando tutto fuorché una rivoluzione femminile, con il suo essere “Moglie di” e con le sue più che ventennali frequentazioni del potere e della Casa Bianca. E’ stata punita per questo, non certo perché è donna.

Ma perde anche l’establishment dei partiti tradizionali (il partito democratico, travolto in Pennsylvania e Wisconsin dove tradizionalmente vinceva, e pure il partito repubblicano, visto che a vincere è – lo ripeto – Trump, non il suo partito), l’establishment dei media (stampa e tv, che sono stati incapaci di prevedere questa vittoria schiacchiante, dimostrando un totale scollamento dalla realtà; altro che maggioranza silenziosa, il problema è che guardano solo alla minoranza loquace dei palazzi del potere), e dei sondaggi (che, ancora una volta e sempre di più, sbagliano le previsioni al punto da far sospettare che siano piegati alla propaganda, invece che indipendenti e “scientifici”).

L’ultima riflessione che voglio fare ci porta in Italia. Ok, i timori del Trump xenofobo, razzista, antislamico, guerrafondaio ci sono tutti ma, come si ripete in queste ore, il sistema istituzionale americano è in grado di contenerlo. Vedremo e incrociamo le dita. Ma da noi? Il Parlamento che uscirà dall’Italicum e dalla riforma costituzionale, su cui gli italiani sono chiamati a esprimersi il 4 dicembre, avrà i necessari pesi e contrappesi istituzionali, gli indispensabili organismi di controllo per contenere l’eventuale vittoria, in una futura tornata elettorale, di un Trump Italiano? Autorevoli costituzionalisti come Zagrebelsky dicono di no, e questo mi preoccupa molto. Più del Trump americano.

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