Un ventennio di successi, sconfitte, contraddizioni, faide interne che sono alla fine approdate in quello che verrà ricordato come l’annus horribilis dell’antimafia. Due decenni segnati da scontri aspri, dibattiti al vetriolo e spaccature che adesso non indicano vie di fuga, ma soltanto quale è la strada da abbandonare. È l’inverno del movimento antimafia quello che prova a indagare Francesco Forgione (nella foto con don Ciotti) ne I Tragediatori, il saggio dato alle stampe per Rubbettino dall’ex deputato di Rifondazione comunista.
Chi sono i tragediatori? Per provare a spiegarlo Forgione cita il pentito Tommaso Buscetta. “Quando gli uomini d’onore parlano fra loro di fatti che attengono a Cosa nostra – diceva il boss dei due mondi – hanno sempre l’obbligo assoluto di dire la verità. Chi non dice la verità noi lo chiamiamo tragediaturi”. Tragediatore, cioè uomo che dice o finge di essere ciò che non è. Un fenomeno che da tempo si è infiltrato nel mondo dell’antimafia, producendo quel singolare cocktail di slogan e impostura che è alla base dell’ultima indagine della Commissione parlamentare Antimafia: quella sulle contraddizioni dello stesso movimento.
“Per troppo tempo l’antimafia non ha discusso di se stessa, della sua vita, del suo modo d’essere. Perché lo ha fatto? Non ha voluto o non ha potuto discutere? Perché è stato sempre impedito un dibattito libero, un confronto aperto sulla sua identità? E perché è stato impossibile esprimere punti di vista diversi da quelli dei protagonisti della vulgata egemone, che si sono autoproclamati depositari delle sue verità?”, si chiede Forgione, presidente tra il 2006 e il 2008 della commissione di Palazzo San Macuto, che nel libro incrocia la sua versione dei fatti di cui è stato protagonista nel recente passato (dove non risparmia qualche critica – tra gli altri – anche al Fatto Quotidiano) con i più recenti fatti di cronaca giudiziaria che hanno trascinato nella polvere alcuni dei cosiddetti ex paladini della legalità.
Dal caso di Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, accusata dalla procura di Caltanissetta per abuso d’ufficio, corruzione e concussione, a Roberto Helg, l’ex presidente della Camera di Commercio di Palermo, “incastrato” mentre chiedeva una tangente da centomila euro a un commerciante, fino a Pino Maniaci, il direttore di Telejato indagato per estorsione perché minacciava ritorsioni televisive contro sindaci e amministratori locali. “Una sorta di sindrome di onnipotenza lo ha colpito, da quando è entrato anche lui nell’Olimpo dell’antimafia”, scrive Forgione, che in passato ha anche diretto la piccola emittente di Partitico.
Un capitolo a parte meritano nel saggio le considerazioni su Libera, la rete di associazioni fondata da don Luigi Ciotti, finita al centro di un aspro dibattito con il pm anti camorra Catello Maresca. “Resto convinto che senza Libera l’antimafia sociale oggi non esisterebbe”, scrive Forgione che poi però ammette: “Un fatto però è certo: nell’opinione pubblica la verginità di Libera è perduta”. Diversa invece la valutazione sul mondo di Confindustria Sicilia, quella di Antonello Montante, sotto inchiesta per concorso esterno a Cosa nostra, e Ivan Lo Bello, coinvolto nelle indagini sul petrolio in Basilicata: sono i frontman della riscossa antiracket degli imprenditori isolani, registi e sponsor dei governi regionali di Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta. “A maggio del 2016 – annota l’autore – Confindustria ha sostenuto la proroga di Montante nel ruolo di presidente dell’Unione delle camere di commercio siciliane. Perché ciò non avvenisse, sarebbe stato sufficiente applicare i codici etici e i protocolli di legalità voluti e sottoscritti dalla stessa organizzazione dal 2007 fino ad oggi”.
Poi Forgione non dimentica di occuparsi dell’antico nemico, quel Totò Cuffaro combattuto dai banchi dell’opposizione dell’Assemblea regionale siciliana, tornato libero dopo cinque anni di carcere a Rebibbia. “Ancora oggi – dice l’ex deputato – dopo la scarcerazione di Cuffaro, servirebbe una lettura attenta del bagno di folla di persone di tutte le estrazioni sociali che lo accoglie alle iniziative di presentazione del suo libro sugli anni vissuti in carcere. Solo degli sciocchi possono pensare che a mobilitarsi per riempire librerie, cinema e oratori per ascoltare un ex detenuto condannato per favoreggiamento alla mafia siano solo vecchi clientes politici e nuovi abitanti del ‘mondo di mezzo’ siciliano. Eppure oltre questo non si va e non si riflette sulle ragioni della normalità della convivenza amorale tra interi settori sociali e la presenza mafiosa in Sicilia. Ciò favorisce lo stesso Cuffaro che, uscito dal carcere, torna a tessere le sue trame politiche e di potere”. Perché alla fine di un lunga trasformazione mafia e antimafia si sono compenetrate talmente tanto da apparire a volte irriconoscibili l’una dall’altra. E ancora una volta cambiare tutto – dai nomi, alle sigle, alle facce – ha prodotto il più sperato dei risultati: non cambiare assolutamente nulla.