Trentaquattro anni dopo, la giustizia si arrende. E un altro grande mistero d’Italia resta senza verità, almeno giudiziaria. Il gip di Roma Simonetta D’Alessandro ha deciso l’archiviazione dell’ultima inchiesta sulla morte di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, il 18 giugno 1982. Nella sua decisione, però, scrive a chiare lettere la parola “assassinio”, accostando in proposito il nome del Vaticano a Cosa nostra e alla massoneria: “Lo sforzo della pubblica accusa – scrive il giudice – consegna comunque un’ipotesi storica dell’assassinio difficilmente sormontabile: una parte del Vaticano, ma non tutto il Vaticano; una parte di Cosa Nostra, ma non tutta Cosa Nostra; una parte della massoneria, ma non tutta la massoneria, e in una parola, la contiguità tra i soli livelli apicali in una fase strategica di politica estera, che ha bruciato capitali, che secondo i pentiti, erano di provenienza mafiosa. Di più non è stato possibile fare”.
Da Gelli al Vaticano a Cosa nostra, a chi interessava la morte di Calvi. Nella richiesta di archiviazione del 17 ottobre 2013, il pm Tescaroli scriveva che il capo della P2 Licio Gelli “aveva interesse all’eliminazione di Calvi per molteplici e concorrenti motivi, che non risultano alternativi ma convergenti rispetto a quelli di Giuseppe Calò, Flavio Carboni, Paul Casmir Marcinkus“. Cassiere di Cosa nostra il primo, condannato per il crac del Banco ambrosiano il secondo, presidente della banca vaticana Ior il terzo. Il Banco riciclava denaro mafioso e al contempo finanziava segretamente, in chiave anticomunista, “nel quadro di una più ampia strategia del Vaticano”, il sindacato polacco Solidarnosc e i regimi totalitari sudamericani, spiegava Tescaroli. Dunque né Calò né Marcinkus “potevano accettare il rischio” che Calvi, ormai alle strette, fallito e inseguito da un mandato di cattura, rivelasse agli inquirenti “quella tipologia di attività illecita, volta a far convogliare denari mafiosi in quelle direzioni, e l’attività di riciclaggio che attraverso il Banco veniva espletata”. Tra gli altri possibili moventi, emersi durante i lunghi anni di indagini, l’impossibilità da parte di Calvi di restituire un’ingente somma di denaro ai mafiosi.
Il pm aveva qualificato l’omicidio di Calvi come “premeditato”, “a onta della tesi per tanto tempo coltivata del suicidio”, ma dopo anni di indagini è stato lui stesso a chiedere di mandare in soffitta il fascicolo. Il tempo decorso, argomenta il gip, le sentenze assolutorie, le verità depistanti e la mancanza di collaborazione della Santa sede hanno fatto sì che i tanti misteri intorno alla morte del banchiere milanese – iscritto alla loggia P2, prima alleato e poi nemico giurato del bancarottiere Michele Sindona, protagonista di oscuri affari con la banca vaticana Ior – restassero tali. “Le rogatorie avviate verso lo Stato della Città del Vaticano hanno avuto esiti pressoché inutili”, scrive il giudice nel decreto d’archiviazione. Per questo non è stato possibile ricostruire il ruolo esatto di Marcikus e soprattutto i flussi finanziari che legavano il Banco Ambrosiano allo Ior.
Gli ultimi accusati: Gelli, Pazienza e gli altri. Per la morte di Calvi erano già stati assolti, tra il 2007 e il 2011, Pippo Calò, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi (Banda della Magliana), Manuela Kleinszig e Silvano Vittor, questi ultimi coinvolti nell’organizzazione dell’ultimo viaggio di Calvi. L’inchiesta oggi archiviata era partita nel 2008 e vedeva indagati Gelli (deceduto nel frattempo, accusato di essere l’organizzatore del delitto), il finanziere svizzero Hans Albert Kunz, Francesco Pazienza (uomo dei servizi, anche lui condannato definitivamente per il crac del Banco ambrosiano), Maurizio Mazzotta (segretario di Pazienza), Enzo Casillo (il braccio destro di Raffaele Cutolo, saltato in aria a Roma sette mesi dopo la morte di Calvi) e di nuovo Flavio Carboni, tutti collegati, nell’ipotesi di accusa, alla fase esecutiva dell’omicidio.
Il pm Tescaroli, osserva il gip, “ha parlato credibilmente di un sistema economico integrato, ha proiettato sullo scenario del delitto presenze simbolo: Calò che è Cosa Nostra, da Bontate a Riina; Diotallevi e Casillo, che sono la Banda della Magliana e la Nuova Camorra Organizzata, sodalizi entrambi al servizio della mafia corleonese; Pazienza e Mazzotta, che sono il Sismi; Gelli, Carboni e Kunz che sono la P2; Marcinkus che è lo Ior, che è Sindona, che è Calvi”.
Suicidio od omicidio? Tutte le sentenze (contrastanti). Roberto Calvi fu trovato impiccato all’impalcatura del ponte, con dei mattoni in tasca. Si ammazzò o fu ucciso? La giustizia ha dato risposte contrastanti. Nel 1982 una prima sentenza inglese decretò che Calvi si era suicidato. Nel 1983, un altro procedimento londinese finì con un verdetto aperto. Nel 1988 toccò al tribunale civile di Milano pronunciarsi in una causa fra gli eredi di Calvi e le Assicurazioni generali: il verdetto optò per l’omicidio. Si dovette aspettare invece il 6 giugno 2007 per la sentenza penale della Corte d’assise di Roma. Secondo i giudici, la tesi del suicidio “è impossibile e assurda”, ma gli imputati sono assolti ricalcando la vecchia insufficienza di prove. Risulta però provato che Cosa nostra utilizzava “il Banco ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio”.
Oggi la decisione del gip che, salvo future novità clamorose, spedisce il fascicolo sulla morte del “banchiere di Dio” nell’affollato e sempre più polveroso archivio dei misteri italiani irrisolti. Con questa postilla: “La morte di Calvi non è affatto solo italiana e anzi il Paese appare connotato da una sovranità limitata da un potere investigativo e cognitivo che si infrange per lunghi anni di fronte all’entità degli interessi politici ed economici in gioco”.