MILANO – La Milano che verrà raccontata a morsi, ad assaggi, a piccoli squarci e visioni, mini aperture di sipario su quello che sarà. La vetrina di “Next”, quest’anno in due giornate rispetto alle tre delle edizioni precedenti, e suddivise tra Teatro Franco Parenti e Elfo Puccini, ci hanno mostrato 26 spezzoni di spettacoli che, da bando, dovranno debuttare nel corso di questa stagione. Produzioni lombarde che, giudicate da una commissione, avranno a disposizione un budget (cofinanziato da Fondazione Cariplo e Regione Lombardia) che può oscillare, a seconda della valenza, importanza e impegno del progetto, tra i 3.000 e i 15.000 euro di contributo. Abbiamo trovato sia conferme e certezze solide che belle scoperte.
In “Cabaret tragico” (prod. Franco Parenti) i brevi quadri ironici, sospesi tra morte e cinismo, varietà e sciagure, hanno evidenziato Valentina Picello che qui ha, finalmente, messo da parte le forme nelle quali sta più comoda, per giocare le carte double face della forza e del riso, miscelandole con perfetto equilibrio, senza cadere nel lamentevole, senza mai abusare del melò di maniera ma restando su quell’impercettibile filo di sagacia e pensiero.
Il gruppo Animanera con “Oscar, non avrai il mio ritratto” non esce dalle sue riconoscibili corde, quelle cupe e sordide, quelle fatte di chiaroscuri inquietanti e di realtà ai confini della realtà ma, nonostante questa cifra, questa firma che accomuna le loro scelte, Natascia Curci ne esce da regina muovendosi in un impianto dove, come dj dalle pose e macchinazioni di scratch disturbanti come sottolineature e virgole e pause e rafforzativi, ben distribuisce parole cupe e rumori d’oltretomba, frasi turbate e ribellione viscerale su questo scranno che la porta in un immaginifico fiabesco, di quelle favole noir che ci facevano sobbalzare.
Da una morte improvvisa, inattesa e senza dolo, a un omicidio. Un testo a ping pong questo “Uno che conoscevo” (prod. Teatro Binario 7) dall’ambientazione british che, ad occhio di bue, cerchia quattro personaggi legati a un fatto di sangue. Quattro caratteri, e tra questi si esalta l’eleganza e il guizzo di Riccardo Buffonini e la sua capacità di verosimiglianza, credibilità e impatto sulla scena, che si confrontano per raccontarci l’efferatezza consumata. Un modo anche per ragionare attorno alle parole che usiamo e che molte volte diamo per scontate ma che hanno una consistenza che può salvare o affossare un’esistenza. Dubbi non tanto sulla scrittura, veloce, pungente, acuminata, a tratti punk-rock, quanto sul contenuto: se in principio i quattro sembrano provenire da differenti mondi collegati alla cronaca nera, ad esempio un coroner, un giornalista, un perito, un ispettore, nelle scene successive si viene a sapere che i personaggi in questione fanno parte della stessa categoria: cronisti, con il loro carico spiccio di crudeltà e cinismo. Difficile, se non impossibile, avere quattro giornalisti che seguono la stessa notizia per poi confrontarsi e scrivere, sotto dettato, un unico articolo. Un dettaglio, macroscopico, che ci fa credere meno a tutta la vicenda.