Politica

Padova, cade la giunta di Massimo Bitonci: requiem per un sindaco caduto

di Tito Borsa

Padova è senza sindaco, Massimo Bitonci è nudo, senza nessuna fascia tricolore a coprire la sua pochezza. In breve: ieri sera 17 consiglieri comunali hanno dato le dimissioni di fronte al notaio e hanno fatto quindi cadere una giunta che non è durata neppure due anni e mezzo. “Sarò il sindaco di tutti”, aveva promesso Bitonci in campagna elettorale nel 2014, e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nemmeno le minacce di Matteo Salvini sono servite: “Se davvero due consiglieri di Forza Italia pensano di mandare a casa il sindaco di Padova Massimo Bitonci vuol dire schierarsi contro tutta la Lega e mettere in discussione le alleanze a ogni livello”, aveva detto ieri. Ora verrà nominato un commissario e poi, probabilmente in primavera, ci saranno nuove elezioni.

Ex sindaco di Cittadella (Comune in provincia di Padova) ed ex senatore e deputato sempre nelle fila della Lega, nel 2014 Massimo Bitonci aveva vinto le amministrative a Padova al ballottaggio contro Ivo Rossi, diventato sindaco quando Flavio Zanonato – di cui era vice – era stato nominato ministro del governo Letta. Lo spauracchio su cui era fondata la campagna elettorale di Bitonci era il “degrado”, a causa del quale Padova non era una città sicura. Dopo due anni e mezzo di liti, provocazioni e ben pochi fatti (basti pensare che l’orgoglio di Bitonci è stata la celeberrima “rotonda a fagiolo”), il triste epilogo è finalmente arrivato. Allergico a ogni forma di contraddittorio e amante della querela, ossessionato dalla sicurezza, dagli immigrati e dai comunisti, frequentatore del poligono di tiro, residente a Cittadella, due anni fa affermò che si sarebbe trasferito a Padova quando la città sarebbe diventata un luogo sicuro per i suoi figli, trasloco mai avvenuto.

Suo nemico giurato, a parte i comunisti e gli immigrati, è il Tar: nel 2014, durante l’emergenza ebola, un’ordinanza del sindaco vieta la “dimora, anche occasionale, presso qualsiasi struttura di accoglienza, per persone prive di regolare documento di identità e di regolare certificato medico rilasciato dalla competente Unità Locale Socio Sanitaria attestante le condizioni sanitarie e l’idoneità a soggiornare”; peccato che Bitonci si dimentichi di istituire delle dogane al confine comunale. Alla fine l’ordinanza viene bocciata dal Tribunale Amministrativo Regionale. Nel 2015 a seguito di un accoltellamento notturno dinanzi a un kebab, impone ai proprietari dell’esercizio (completamente estranei al fatto) un orario di apertura deleterio per i loro affari — dalle 12 alle 14 — perché ritrovo “di persone nullafacenti e/o dedite ad attività sospette, afferenti lo spaccio ed il consumo di stupefacenti, e che tali persone, specie in orario tardo pomeridiano e serale, sono solite aggregarsi e trattenersi nel sottoportico prospiciente l’esercizio”. Anche questa ordinanza viene ghigliottinata dal Tar e il Comune paga.

Cos’hanno in comune lo scrittore Paolo Rumiz, l’ex sindaco di Padova Ivo Rossi, la parlamentare Pd Laura Puppato, il direttore del Fatto.it Peter Gomez e il fotografo Oliviero Toscani? Semplice, sono stati tutti querelati da Bitonci. A parte i giudizi non politici (Rumiz ha definito il sindaco di Padova un “mandriano”, mentre Toscani ha affermato che chi ha votato Lega nel capoluogo veneto è “imbecille e analfabeta”), Bitonci dimostra tutta la sua avversione per il confronto e la discussione nel merito delle sue scelte e delle sue posizioni, quasi non volesse prendersi la responsabilità di quanto afferma o delle scelte che compie, il tutto molto spesso avvalendosi degli avvocati comunali.

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