Non è bastato un surreale intervento dell’ultima ora del segretario leghista Matteo Salvini: “La Lega è orgogliosa di come Massimo e la sua squadra hanno ripulito e rianimato Padova. Se due consiglieri di Forza Italia pensano di mandarlo a casa, vuol dire schierarsi contro tutta la Lega e mettere in discussione le alleanze a ogni livello”. E neppure un appello in zona Cesarini di Niccolò Ghedini: “Sfiduciare Bitonci sarebbe un grave errore politico”. A casa ci è andato per davvero il commercialista leghista, che due anni e cinque mesi fa aveva conquistato la poltrona di sindaco di Padova. Epilogo sancito da un atto che poco prima di mezzanotte di venerdì è stato firmato davanti a un notaio. Si sono ritrovati in 17 consiglieri a mettere nero su bianco le loro dimissioni, più della metà del consiglio e quindi la maggioranza di centrodestra a trazione leghista si è dissolta.
Era nell’aria da settimane, visto che Bitonci era rimasto con l’unico suo voto a fare la differenza dopo la perdita di consensi in casa propria. Ma lui ha cercato in tutti i modi di resistere, arrivando a paragonarsi a Donald Trump, due giorni fa, per dire di essere vittima di giornali, lobby, centri di potere. Non gli è bastato. Adesso a Palazzo Moroni arriva un commissario e probabilmente a primavera si tornerà a votare.
Il numero 17 non porta bene a Bitonci. Davanti al notaio, a tarda sera, si sono ritrovati i democratici guidati dal segretario Massimo Bettin, poi il commissario di Forza Italia Simone Furlan, quindi i consiglieri di Padova 2000 e i due consiglieri del M5S. Da ultimi sono arrivati un rappresentante della lista Rossi e Fernanda Saia, già transitata nel gruppo misto. Il colpo di grazia, politicamente parlando, l’ultima coltellata, è stata inferta dall’assessore Maurizio Saia, responsabile della Sicurezza, entrato in rotta di collisione con il comandante dei vigili urbani. Saia si è dimesso, ma prima di farlo è passato in Procura della Repubblica per relazionare di causa di alcune spese, non condivise, da parte del comando dei vigili urbani. Parole come pietre quelle di Saia, un verdetto senza appello: “C’è stato un tradimento del programma elettorale e del patto politico. Non c’è mai stato confronto, Bitonci non ha mai coinvolto nessuno, non è stato corretto né leale. Ha tradito il profilo da ‘pontiere’ che l’aveva fatto vincere e la voglia di cambiamento che aveva interpretato. Oggi non è neanche più il sindaco della Lega. È un uomo solo”.
Per coincidenza, Salvini era a Padova nei momenti cruciali. Ma la sua difesa estrema di Bitonci è stata inutile, come le minacce agli alleati. “Vado avanti” aveva detto il commercialista di Cittadella sul far del mezzogiorno, aggrappandosi all’unico voto di differenza – il suo – che consentiva alla maggioranza sempre più leghista e sempre meno di tutto il centrodestra di resistere. Poi una frenetica serie di incontri tra esponenti della minoranza e pezzi della maggioranza in decomposizione. Quando a tarda ora nello studio del notaio è comparsa Fernanda Saia, sorella dell’ormai ex assessore, il cerchio si è chiuso, come la parabola di Bitonci, il sindaco leghista che voleva far dimenticare l’era di Flavio Zanonato e di Ivo Rossi. E che adesso assicura di voler riprovarci.
“Io sono il sindaco, dico e faccio quello che voglio”. In queste brevi parole pronunciate dopo un turbolento consiglio comunale a fine ottobre, c’è l’essenza del Bitonci-fenomeno. Centralizzatore, decisionista, incapace di dialogare perfino con la sua maggioranza. Poche ore prima era andato in scena un vero linciaggio pubblico del giovane consigliere Riccardo Russo, trasmigrato dalla lista del sindaco al gruppo misto. Bitonci non si era affatto dissociato dalle offese piovute su Russo, da parte di una claque organizzata in consiglio comunale. Anzi era fiero di averlo chiamato “traditore”.
Il sindaco leghista si è sempre vantato di essere espressione di una profonda novità per una città come Padova e non solo: “Ho dimostrato di essere lontano dalla politichetta dei partiti e delle tattiche” ha ripetuto come un mantra in queste settimane. “E in questi due anni abbiamo dimostrato che siamo in grado di governare”. In realtà proprio due argomenti forti come il nuovo stadio Plebiscito e la localizzazione del nuovo ospedale sono stati i temi che lo hanno portato in rotta di collisione con parti importanti della sua maggioranza. A giugno aveva cambiato numerose deleghe, non contento del bilancio della propria giunta dopo due anni di lavoro. E così l’assessore azzurro Stefano Grigoletto si era ritrovato dimezzato. Al punto da andarsene. Lì era cominciato il tracollo, che a settembre aveva assunto le proporzioni di una slavina, con la perdita di pezzi importanti di Forza Italia.