Trenta gli indagati, tra cui alcuni dipendenti dell'azienda ospedaliera. Che ci ha rimesso perché non percepiva il ticket di 80 euro su pulizia e vestizione dei defunti. Contestati, a diverso titolo, la corruzione aggravata per atti contrari ai doveri d'ufficio, il falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale e la truffa
L’ultima frontiera delle tangenti è il caro estinto. In particolare la vestizione dei corpi in obitorio, durante la fase di composizione delle salme e di preparazione, preludio del funerale e della tumulazione. L’inchiesta, condotta a Padova dal pubblico ministero Maria D’Arpa, sotto la direzione del procuratore Matteo Stuccilli, ha portato ad iscrivere una trentina di persone del registro degli indagati. Si tratta di infermieri o addetti al reparto e di titolari o dipendenti delle pompe funebri che avrebbero trovato un accordo per guadagnarci reciprocamente qualcosa.
Per i pubblici ufficiali, la vestizione è un dovere, che spetta loro in quanto dipendenti dell’ospedale di Padova. Ma il sistema prevedeva di farci la cresta, ovvero di ottenere pagamenti in nero, quantificati in 50-60 euro per ogni salma. Un pagamento esentasse, capace di pesare pesantemente in rapporto agli stipendi percepiti. A beneficiarne sarebbero stati sei operatori socio-sanitari, che avrebbero ricevuto le somme di denaro dalle pompe funebri. Contro di loro ci sarebbero parecchie prove, a cominciare da intercettazioni telefoniche e ambientali, qualche foto scattata dagli investigatori e, soprattutto, riprese video che avrebbero fissato il pagamento delle tangenti.
I reati che vengono contestati a una trentina di persone sono, a diverso titolo, la corruzione aggravata per atti contrari ai doveri d’ufficio, falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale e truffa. L’inchiesta ha preso il via da un esposto anonimo, ma ha trovato subito il conforto di alcune precise testimonianze di persone che assistevano a un vero mercato sulla pelle dei defunti. Con quale meccanismo? Al momento del decesso la salma veniva trasferita in obitorio. Nei casi di autopsia, le pompe funebri sono tenute al versamento all’Azienda ospedaliera di 80 euro, una specie di “ticket” per effettuare tutta la preparazione, completa di pulizia, vestizione e tanatocosmesi, ovvero quella serie di trattamenti che rendono la salma presentabile, così che i parenti possano serbare un buon ricordo.
Secondo l’accusa, nell’ospedale di Padova, in cambio di una tangentina di 50-60 euro (quindi 20 euro un meno rispetto alla tariffa ufficiale) gli addetti avrebbero effettuato le operazioni necessarie. Ma dovevano firmare una dichiarazione (di qui l’ipotesi di falso) secondo cui la salma era arrivata in obitorio già pronta per essere sistemata nella bara. I dipendenti pubblici ci guadagnavano un extra, le pompe funebri facevano risparmiare qualcosa ai clienti, che erano soddisfatti per il servizio. A rimetterci, secondo l’accusa, l’amministrazione ospedaliera, che non percepiva il ticket. Secondo una stima, ogni operatore avrebbe incassato circa 5mila euro all’anno.