Secondo l'attuale gestore del gioco è il corrispettivo di servizi come l'uso dei loghi. Tabaccai e gestori di bar lamentano invece che si tratta di una "rendita di posizione" di cui peraltro il Consiglio di Stato ha disposto l'abolizione dal 2018, quando scade l'attuale concessione. Decisione recepita dal regolatore. Il Tesoro però ha deciso altrimenti, e in legge di Bilancio è previsto che il versamento resti
Divampa la guerra del canone e non coinvolge la Rai, ma il Superenalotto. Da una parte ci sono circa 40mila tabaccai, gestori di bar e ricevitori che quel canone non vorrebbero sborsarlo perché lo considerano un balzello inutile e costoso: circa 2mila euro l’anno per ogni ricevitore, almeno un’ottantina di milioni di euro in totale. Dall’altra la Sisal, la società che gestisce il Superenalotto, la quale ritiene la riscossione del canone fondamentale per salvaguardare ora e in futuro i suoi interessi. In mezzo c’è lo Stato italiano con una duplice veste: regolatore del settore dei giochi, Superenalotto compreso, e riscossore delle entrate generate dai giochi stessi.
La guerra del canone, per la verità era già scoppiata sei anni fa, ma dopo una serie di scaramucce sembrava che le acque si fossero acquietate. Le ostilità sono riprese improvvise in concomitanza della preparazione e poi dell’approvazione da parte del governo di Matteo Renzi della legge di Bilancio per il 2017. Un articolo, il numero 73, è interamente dedicato alla gara per il Superenalotto che si terrà l’anno prossimo. In poco meno di una pagina vengono stabiliti con precisione i criteri per l’assegnazione del gioco: durata 9 anni, base d’asta 100 milioni di euro con offerte al rialzo, versamento dell’importo in due rate, aggio del 5 per cento sulle giocate con offerte al ribasso. Il punto controverso, quello che ha riacceso gli animi, è il comma e: due righe e mezzo scritte in burocratese stretto, con rimandi a leggi e commi di altre leggi precedenti e relative modifiche. E’ quella la pietra dello scandalo perché in poche e fumose parole si stabilisce un principio dirompente, e cioè che il canone per il Superenalotto resta e dovrà essere pagato anche in futuro, almeno fino al 2027. Secondo l’interpretazione di tabaccai e ricevitori si tratta di una sonora fregatura. Per Sisal invece è una norma forse difficile da interpretare, ma saggia.
La versione dell’articolo per il Superenalotto approvata dal governo con inclusa la reintroduzione del canone è completamente diversa da quella originaria preparata dall’Agenzia dei Monopoli, il regolatore statale dei giochi. Il testo dei Monopoli fissava un aggio per il concessionario uguale a quello del Lotto, cioè 6 per cento, con un incremento del 2,25 per cento rispetto a quello riconosciuto oggi a Sisal, ma aboliva il canone facendo riferimento a quanto disposto da una legge del 2010. Proprio la legge, cioè, che aveva innescato la prima fase della guerra del canone. Facendosi forti di quella norma i tabaccai allora avevano dato battaglia chiedendo al Tar del Lazio l’abolizione immediata dell’odioso balzello e il Tar aveva accolto la domanda. Senonché il Consiglio di Stato qualche tempo dopo aveva in parte modificato il senso della sentenza sostenendo che il canone del Superenalotto doveva sopravvivere, ma solo fino al 2018, anno di scadenza della concessione, onde evitare che fossero alterati i contenuti della concessione stessa mentre era in essere.
Quando il testo preparato dai Monopoli è arrivato sui tavoli del ministero dell’Economia e delle finanze è stato stravolto. I tabaccai sostengono che ciò sia avvenuto per effetto di un’efficace azione di lobby di Sisal. Mentre alla Sisal ritengono che il repentino cambio in corsa sia dovuto al fatto che al ministero si sarebbero fatti due conti constatando che senza canone, con un aggio al 6 per cento e una previsione di raccolta del gioco simile a quella attuale, ci avrebbero rimesso la bellezza di più di 350 milioni di euro in nove anni. A quel punto al ministero avrebbero deciso di smontare la proposta dei Monopoli accantonando l’aggio del 6 per cento e rimettendo il canone.
I capi di Sisal, i quali ragionevolmente sperano di riacciuffare la concessione nel 2018, sono felici del cambio di rotta. Per tre motivi: il primo è che per loro stessa ammissione se dovessero rinunciare al canone chiuderebbero ogni anno il bilancio con una perdita di una ventina di milioni di euro. Il secondo motivo è che considerano ingiustificate le proteste di ricevitori e tabaccai perché con il Superenalotto essi incassano un super-aggio dell’8 per cento su ogni giocata. E infine perché ritengono che la riscossione del canone non sia un’imposizione, ma una possibilità, il risultato di un libero negozio tra le parti (Sisal da un lato, ricevitori dall’altro) in cambio della fornitura di alcuni servizi. Come l’uso dei loghi Sisal, assicurazione contro i furti nei punti vendita, copertura dei costi per gli eventuali guasti del terminale. “Tutte balle”, ribatte Giorgio Pastorino, presidente dei ricevitori della Federazione tabaccai (Fit): “Quelli che Sisal spaccia come servizi aggiuntivi liberamente offerti sono in realtà obblighi che sarebbe tenuta a rispettare in base alla concessione. Per regalare a Sisal un’assurda rendita di posizione, il governo picchia in testa ai tabaccai”.