Televisione

Tv: Giovanni Minoli, uguale a se stesso. Una questione di qualità o una formalità?

Giovanni Minoli ha esordito domenica 6 novembre con il suo nuovo (?) programma, Faccia a Faccia. Ecco le nostre opinioni a confronto.

Riccardo Marra

Niente di nuovo in questo nuovo Faccia a Faccia di Giovanni Minoli in onda la domenica su La7. C’è tutto del vecchio Mixer: c’è il botta e risposta senza immagini a supporto, c’è il faccione dell’ospite replicato sullo sfondo, c’è il tema: la politica, c’è il tono di Minoli: sempre quello, sempre elegantemente inquisitorio e con quell’intonazione “a uscire” che ha fatto storia. E dopo l’intervista c’è l’approfondimento, intenso e documentato. Caro Venturi, ho paura di smarrirmi tra vecchio e nuovo. Io penso che il mondo della televisione, al contrario di altri contesti, spesso, faccia finta di innovarsi, ma semplicemente mescoli le carte; oppure ancor di più: credo che faccia passare il tempo necessario per dimenticare e poi ricominciare. E quindi dico: forse più che nuovo e vecchio, bisognerebbe usare parametri diversi per valutarla? (la televisione). Non so, pensavo a qualcosa tipo “di qualità” o “di scarsa qualità”. Ok, semplifichiamo ulteriormente: “bella” o “brutta”. Perché Minoli avrà fatto lo stesso programma spiccicato ma difficilmente domenica si aveva voglia di cambiare canale. Una questione di qualità? O una formalità?

Davide Venturi

Insomma, ha fatto la stessa cosa ed è bella, però ti domandi se questo è buono per la tv. Mixer, La storia siamo noi, Davvero… I programmi di Minoli fanno parte della mia adolescenza e formazione. E non solo della mia (ammetto: l’ultimo solo della mia). Ecco, vedere il suo “nuovo” Faccia a Faccia mi ha dato l’impressione di non essere cresciuto. Questa sensazione ha una componente negativa ed una positiva. E non c’è bisogno di spiegarle se non ricordando che quella positiva è stata la fortuna del mondo Disney e quella negativa la prima battaglia politica dell’allora rottamatore Renzi. Ho l’impressione che la tv da troppo tempo si comporti come certo mondo discografico, dove i divi faticano a uscire dal genere che ha portato loro fortuna. Dove il rischio non vale la candela. Ma il rischio c’è, eccome. Non nel breve termine. Un giorno, sfinito dagli stessi accordi ripetuti, lo spettatore comincia a prendere le distanze da ciò che ha adorato perché ha l’impressione di guardare una partita il cui il risultato è scontato. Dove si partecipa, ma non si ha più la voglia di giocare. Forse per la tv vale il contrario del gioco che furoreggia nelle tabaccherie: qui se giochi, non vinci.