In una relazione che non funziona sembra continuare ad avere più importanza l’essere stati bene insieme nel passato, che l’effettivo stare bene insieme nel presente. Ecco perché la separazione può essere un travaglio. Il passato è despota del futuro, arriva per primo e va via per ultimo.

Questo meccanismo è presente in tutte le coppie che provano disperatamente a non essere più tali, un’estremizzazione è evidente nelle situazioni di maltrattamento domestico, quando le donne sono intrappolate in relazioni dalle quali non riescono a venire via, perché fondamentalmente non vogliono lasciare il loro compagno, sperano cambi e torni ad essere quello di un  tempo, non accorgendosi che è esattamente quello di un tempo, solo che lo conoscono meglio.

Incredibile, a volte, come qualche momento di serenità possa perdurare molto più della sofferenza che ne può conseguire, quando alcune dinamiche si guastano o diventano violente. Certo ci sono situazioni, non sono poche, dove le donne non troncano una relazione per paura della reazione di lui o perché ormai si sentono isolate e non più in grado di fare fronte, in autonomia, alle incombenze pratiche della vita, ma ci sono anche altre storie. Per quanto tutte le relazioni possano essere simili, questo non toglie mai nulla al loro essere sempre differenti.

La logica vorrebbe che, se una relazione non funziona, questa termini in tempi tutto sommato accettabili, ma l’esperienza annienta questa ipotesi. Quanto è difficile separarsi lo sanno solo coloro che si stanno separando, persino coloro che già si sono separati possono tendere ad avere la memoria corta.

Se si vuole bene una persona, lo si fa per quello che è, il volerla diversa è solo un tranello della mente, se fosse diversa non ci saremmo legati a lei. Quello che unisce è paradossalmente più forte di quello che divide, anzi forse è proprio quello che non si accetta dell’altro a fare la differenza in merito all’attaccamento nei suoi confronti.

Se quello che divide è il non stare più bene con quella persona, allora perché ci si ostina a pensare che possa essere ancora possibile? Non saprei se fa più male la domanda o una sua eventuale risposta.

Ci si disinnamora delle persone molto più facilmente che delle dinamiche che a quelle persone ci legano, ecco perché non è casuale che ci si ritrovi in relazioni che spesso hanno molti tratti in comune. Chi agisce delle violenze e chi le subisce spesso lo fa in modalità che non sono sporadiche, eccezionali o legate a un determinato tipo di persona che attiva quel qualcosa che non si sa più gestire, se non con l’ausilio della forza e dell’imposizione.

Il desiderio di cambiare una persona dovrebbe presupporre innanzitutto la constatazione che questa lo voglia e che quindi abbia consapevolezza della necessità di cambiare, piccolo particolare che troppo spesso si ignora. Il cambiamento nasce da dentro, non è esportabile. Le nostre azioni devono tendere sempre a tutelare noi stessi, in seconda battuta l’altro, solo così l’aiuto si estende anche a lui, può vivere gli effetti dei suoi comportamenti, soffrirne e mettersi eventualmente in discussione. Molti degli uomini che vedo nel mio lavoro con gli autori di violenza chiedono un aiuto quando avvertono la possibilità concreta che la relazione termini oppure è già terminata. E’ la crisi che genera un’opportunità. Abbiamo un disperato bisogno di opportunità e possiamo farlo solo entrando in crisi, per migliorare noi e le nostre relazioni.

Si avvicina il 25 novembre, Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, proliferano iniziative e dibattiti, ma un giorno è solo un giorno, non si otterrà niente se gli altri trecentosessantaquattro non verranno in aiuto e per quanto questo possa apparire ridondante e scontato, io stesso l’ho scritto e detto più volte, è la verità dalla quale non si sfugge.

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Vignetta di Pietro Vanessi
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