Il numero uno della campagna elettorale, legame tra l'entourage del miliardario e la cosiddetta "Alt Right", promosso a chief strategist dell'amministrazione Usa. "Scelta che rende l'appello all’unità una presa in giro", afferma il Council on American-Islamic relations. "Deve andare via - attacca anche l’Anti-Defamation League - se Trump vuole davvero essere il presidente di tutti". Anche i democratici all'attacco
L’alternative right approda alla Casa Bianca con la nomina di Steve Bannon a chief strategist di Donald Trump. Una presenza “preoccupante”, quella dell’ex numero uno della campagna elettorale del candidato repubblicano, diventato capo stratega e consigliere anziano del presidente eletto, che desta le ansie della comunità ebraica e di quella musulmana. E dà al Partito Democratico un nuovo spunto per attaccare il vincitore delle elezioni presidenziali. Che lo difende: “E’ un brillante stratega”.
Con Bannon arriva ai vertici della più grande potenza mondiale un esponente della destra radicale – una galassia composta di sigle che vanno dai suprematisti bianchi ai gruppi di neo-nazi – fino a ora confinata principalmente allo spazio virtuale del web: organizzazioni unite dalla convinzione che “l’identità bianca” e la “civiltà occidentale” siano sotto attacco da parte della società multiculturale e dominata dalla political correctness. Un movimento alternativo all'”inutile conservatorismo” ma che ora, dopo aver contribuito alla vittoria del miliardario newyorkese, si trova nella posizione di poter portare la propria ideologia nel cuore stesso dell’establishment di Washington.
A farlo sarà appunto Bannon, 62enne ex ufficiale della Marina, scelto a inizio estate da Trump per sostituire Paul Manafort, l’allora capo della macchina elettorale repubblicana. Ex investment banker Bannon è il il fondatore di Breitbart, sito che ha diretto fino alla scorsa estate quando è diventato Ceo della campagna del candidato repubblicano. L’ingresso ufficiale nella campagna elettorale – che lo scorso agosto faceva titolare al Washington Post “la Alt Right di Breitbart ha preso il controllo del Gop” – è arrivato dopo che per mesi Breitbart è stato lo strumento mediatico che ha suggellato l’alleanza fra Trump e i gruppi della destra radicale, all’insegna degli obiettivi comuni: guerra all’immigrazione, all’ingresso di rifugiati siriani e alla minaccia di un movimento come Black Lives Matter.
Aprire Breitbart significa entrare in un mondo parallelo dove l’ideologia distorce i fatti trasformandoli come attraverso uno specchio deformante. Con un potente interfaccia sui social media, Breitbart ha paragonato il lavoro dell’organizzazione per il controllo delle nascite Planned Parenthood all’Olocausto, definito il commentatore conservatore Bill Kristol “un ebreo rinnegato” e sparso falsi gossip come quello che la collaboratrice di Hillary Clinton, Huma Abedin, era una spia dei sauditi. Per Breitbart scrivono esponenti dell’estrema destra mondiale, come l’olandese Geert Wilders che ha proposto il bando del Corano.
“E’ una scelta che rende l’appello all’unità una presa in giro”, afferma il Council on American-Islamic relations. L’accusa a Bannon è quella di aver utilizzato il suo sito Breibart come uno strumento di “propaganda etnica e di nazionalismo bianco“, con posizioni “razziste“. L’Anti-Defamation League ebraica ha parlato di “un giorno triste”, per la vicinanza di Bannon a “un gruppo di nazionalisti bianchi e svergognatamente antisemiti e razzisti”.
Anche i democratici al Congresso vanno alla carica: “Non bisogna edulcorare la realtà. E la realtà è che un nazionalista bianco è stato nominato capo stratega dell’amministrazione Trump”, afferma Nancy Pelosi, leader della minoranza alla Camera dei Rappresentanti. Anche per il leader della minoranza al Senato, Harry Reid, la nomina di Bannon “è un chiaro segnale che i bianchi suprematisti saranno rappresentati al massimo livello nella Casa Bianca di Trump”. David Axelrod, consigliere del presidente Barack Obama, ha definito la decisione ”preoccupante”.
Nel comunicato che annunciava la sua nomina, il nome di Bannon figurava prima di quello di Reince Priebus (nominato chief of the staff) indicando, secondo alcuni, la maggiore importanza che gli viene attribuita all’interno dell’amministrazione.
A difendere la nomina scende in campo Trump: “Chi lo critica – ha detto la portavoce del tycoon, Kellyanne Conway – dovrebbe andare a guardare il suo curriculum. Bannon è uno stratega brillante, e con Reince Priebus sta facendo sacrifici enormi per servire il presidente”.
La preoccupazione è che ora la polemica possa infiammare ancor di più la piazza, con l’ondata di manifestazioni anti-Trump destinata a proseguire nelle prossime ore in tutte le grandi città degli Stati Uniti, a partire da New York. E non facilita a stemperare le tensioni la posizione espressa da Trump a proposito dell’attesa nomina alla Corte Suprema. La scelta – ha detto – cadrà su un giudice anti-aborto. Il rischio è quello di riaprire su un tema così delicato un durissimo scontro sociale. Come sull’immigrazione, anche se – fanno notare molti commentatori – sul fronte delle deportazioni e dei rimpatri forzati i numeri indicati da Trump non si discostano in realtà di molto da quelli dell’amministrazione Obama.