La proposta di modifica, che puntava ufficialmente a semplificare l'imposizione "in attesa della riforma del catasto", aveva passato il vaglio dell'ammissibilità in commissione Bilancio. Dopo le proteste di Confedilizia, che ha fatto notare come l'aliquota massima fosse superiore a quella fissata per la somma di Imu e Tasi, è arrivato il ritiro
La proposta si sostituire Imu seconda casa e Tasi con una nuova Imposta municipale sugli immobili, in sigla Imi, avrebbe finito per far aumentare le tasse sulla casa. Ma i deputati Pd che avevano presentato l’emendamento alla legge di Bilancio se ne sono accorti solo dopo diverse ore e a valle delle proteste di Confedilizia. A quel punto è arrivata la marcia indietro. Insieme alla confessione che l’idea arrivava direttamente dall’Associazione dei Comuni. “Non c’è e non ci sarà nessun aumento delle imposte dei Comuni sulla casa”, è corso ai ripari Maino Marchi, capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera. La modifica “proposta da Anci ai gruppi intende operare una semplificazione, unificando le due imposte esistenti in una sola, senza nessun aumento di aliquote”, ma “se da ulteriori verifiche risulterà che, per eventuali imprecisioni tecniche nella stesura dell’emendamento, si determini la possibilità, anche limitata a pochi casi, di aumento delle aliquote, verrà ritirato”. Cosa che è avvenuta poco dopo le 18. “Non vogliamo che ci siano dubbi o strumentalizzazioni, per questo lo ritiriamo”, ha spiegato a quel punto Marchi. Nel frattempo arrivava da Catania la pietra tombale del premier Matteo Renzi: “Ho letto che stiamo per togliere l’Imu per mettere l’Imi, siamo a compro una vocale di Mike Buongiorno… E’ una cosa che non sta né in cielo né in terra. Noi non aumentiamo le tasse, vogliamo tagliarle”.
Le verifiche, del resto, sono presto fatte: come fatto notare dall’associazione dei proprietari di casa, l’aliquota massima della nuova Imi è superiore al tetto del 10,6 per mille previsto oggi per la somma delle aliquote Imu e Tasi. L’emendamento di 24 deputati Pd, mirato ufficialmente a semplificare la vita dei contribuenti in attesa della riforma del catasto (su cui il governo non è intervenuto nonostante la delega fiscale conferita dal Parlamento nel 2014 lo prevedesse), dispone infatti l’accorpamento dell’Imposta municipale unica (Imu) e del tributo per i servizi indivisibili (Tasi) nell’Imi, la cui aliquota verrebbe decisa dai Comuni. Ma con quali limiti? Per gli immobili (escluse ovviamente le prime case) e i fabbricati, tranne quelli rurali, potrebbe andare dall’8,6 all’11,4 per mille. Per ville e castelli – in questo caso anche se prime case, visto che questo tipo di dimore è stato escluso dall’abolizione dell’Imu sulla prima abitazione – l’emendamento prevede invece un’aliquota dal 5 al 7 per mille. Ci sarebbe poi uno sconto del 50% sulla base imponibile per i comodati d’uso.
“L’emendamento fa due cose: da un lato, conferma quello che Confedilizia ha sempre detto, e cioè che la Tasi non è una tassa sui servizi ma una patrimoniale, così come lo è l’Imu; dall’altro, aumenta la tassazione sugli immobili”, aveva commentato a caldo Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. Infatti “il limite massimo ordinario della somma delle aliquote è del 10,6 per mille. L’emendamento suggerito dall’associazione dei Comuni, invece, lo porta all’11,4 per mille. Misura, quest’ultima, che nel 2015 era stata ammessa solo in presenza di corrispondenti detrazioni sulla prima casa – quindi senza aumenti di tassazione – e che per il 2016 è stata inopinatamente confermata, senza condizioni, solo per alcuni Comuni, così come fa per il 2017 il ddl bilancio. Ci aspettiamo che questo aumento di imposizione sugli immobili non faccia strada”. E infatti non ne ha fatta molta: in breve è arrivata la retromarcia, nonostante la proposta avesse passato il vaglio dell’ammissibilità.
La commissione guidata da Francesco Boccia ha intanto bocciato 1.500 emendamenti sui quasi 5mila presentati. Circa la metà delle proposte sono state fermate per mancanza di coperture, le altre perché estranee per materia alla legge di Bilancio. In ogni caso saranno votati, tra i circa 3.500 emendamenti rimasti, solo quelli segnalati dai gruppi (con un tetto a 900), più quelli approvati dalle commissioni di merito. L’inizio delle votazioni potrebbe slittare di una giornata, da giovedì a venerdì, per effetto del ritorno in commissione del decreto fiscale e dello slittamento del termine delle segnalazioni. Tra gli altri, non ha passato il vaglio dell’ammissibilità l’emendamento di Ap sul ponte di Messina, che secondo i deputati alfaniani avrebbe dovuto essere dichiarato “infrastruttura prioritaria“.