Da Modena a Bodalato per pagare il pizzo alla ‘ndrangheta. È quanto avvenuto a due imprenditori emiliani che avevano il compito di costruire e gestire il porto della cittadina jonica in provincia di Catanzaro. La ditta “Salteg” di Modena, inoltre, doveva costruire la diga foranea, una sorta di sbarramento che ha il compito di smorzare il moto ondoso del mare. La vicenda era emersa nell’ambito dell’inchiesta “Free boat – Itaca” che, dopo gli arresti del 2013, ha portato al sequestro di beni per 25 milioni di euro nei confronti dell’imprenditore Antonio Saraco, finito in manette tre anni fa con l’accusa di estorsione.
Il Gico della guardia di finanza di Catanzaro, guidato dal colonnello Michele Di Nunno, ha applicato i sigilli al villaggio turistico “Aquilia Resort” di Badolato, una lussuosa villa e una società a Roma, 33 immobili, un campo sportivo e 18 terreni a Badolato, 4 immobili in Satriano, 6 locali nella provincia di Catanzaro (in Montepaone, Taverna e Davoli), 2 autovetture, 2 motocicli, quote di società con sede a Roma, Cosenza e Satriano e diversi rapporti bancari e finanziari.
Il provvedimento di sequestro, disposto dal Tribunale su richiesta del procuratore Nicola Gratteri, dell’aggiunto Vincenzo Luberto e dal sostituto Vincenzo Capomolla, fa riferimento alle carte dell’inchiesta “Itaca” nell’ambito della quale era emerso che i due imprenditori modenesi erano stati costretti ad affidare la gestione del porto di Badolato a una società compiacente. Secondo gli inquirenti, era questo il sistema con cui la ‘ndrangheta riciclava il denaro attraverso strutture portuali. Lo stesso Antonio Saraco aveva tentato di estorcere agli imprenditori modenesi la somma di 120mila euro, facendogli intendere che la richiesta proveniva dal capo del “locale” di Guardavalle, Vincenzo Gallace.
Tentativo andato a vuoto perché il boss, venuto a conoscenza della richiesta estorsiva avanzata da Saraco, aveva ordinato una spedizione punitiva nei suoi confronti. Grazie alle indagini, successive agli arresti, gli uomini del colonnello Di Nunno sono riusciti a ricostruire l’intero patrimonio dell’indagato che si sarebbe avvalso anche di prestanome per nascondere i propri beni per i quali la Guardia di finanza ha riscontrato comunque una disparità rispetto ai redditi dichiarati e all’attività economica svolta da Saraco e dai suoi familiari.
L’operazione, denominata “Backlog”, è “un’indagine importante. Vogliamo impoverire le mafie” ha affermato il procuratore Gratteri. Il perché lo spiega il procuratore aggiunto Luberto: “Sono vicende che hanno determinato un processo in cui per la prima volta è stata riconosciuta la sussistenza dell’associazione mafiosa in un territorio come quello di Badolato in cui non vi era ancora, in tal senso, un riconoscimento giurisdizionale”. “Gli appaltatori modenesi – ha sottolineato il magistrato – si sono trovati a costruire la diga foranea con i massi delle campagne del catanzarese. Alcuni massi erano appropriati per qualità e dimensioni, altri erano inadeguati. Antonio Saraco è fra coloro i quali hanno aggredito il titolare della società modenese da un punto di vista patrimoniale imponendo il pizzo e imponendo una gestione inadeguata del porto da parte di un altro imprenditore”.