Neanche nei peggiori momenti del regime democristiano si era registrato un così spudorato schieramento di tutti gli organi dello Stato a favore della proposta governativa contenuta nel referendum che vuole snaturare la Costituzione repubblicana e sta spaccando il Paese. Forze di polizia, ministeri, presidi, rappresentanze diplomatiche, informazione stampata e soprattutto televisiva, ecc., sono tutti massicciamente mobilitati per imporre le pessime (da tutti i punti di vista) proposte elaborate dai nuovi patrigni costituenti Renzi, Alfano, Verdini e Boschi. Con l’editoriale pubblicato su Repubblica domenica scorsa è sceso in campo anche il grande vecchio Eugenio Scalfari, ideologo dell’oligarchia come unica forma possibile di democrazia.
Fortemente oligarchica è del resto l’ispirazione delle proposte di riforma costituzionale che dovremo respingere il 4 dicembre. Esse infatti mirano in sostanza a restringere i poteri dell’elettorato eliminando il voto popolare al Senato e riducendo il ruolo delle autonomie regionali e locali, all’insegna di una velocizzazione autoritaria dei procedimenti legislativi. Non è certo casuale che tali riforme siano state direttamente ispirate dai centri finanziari internazionali.
Folklore e manfrine a parte possono essere quindi colte varie somiglianze tra questo disegno antidemocratico e l’avvento del miliardario razzista e sessista Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Forse Matteo Renzi, che pure ha molti difetti, non può essere individualmente imputato di razzismo e sessismo. Tuttavia le politiche concrete del suo governo, in termini di violazione dei diritti di lavoratori, donne e migranti, taglio delle spese sociali, iniquità fiscale e devastazioni ambientali, hanno moltissimi punti in comune con quelle di Trump. Soprattutto, comune è la regia più o meno occulta, divenga o meno il presidente della JP Morgan ufficialmente membro della squadra presidenziale di Trump. Non ingannino al riguardo i fessi che vorrebbero proporci un Trump in versione antielitista, né inganni l’accodamento provvisorio e del tutto opportunistico di Renzi al carro di Obama, Clinton e del Partito democratico, che voleva solo essere un omaggio anticipato, a quanto pare eccessivamente affrettato, al presunto vincitore delle elezioni presidenziali del Grande fratello statunitense.
Possono inoltre essere ravvisate ulteriori significative analogie fra Donald e Matteo. Una non trascurabile concerne il discorso apparentemente “nuovista” volto alla rottamazione della vecchia politica, ma non per introdurre forme di più intensa democrazia, ma per instaurare un regime di tipo plebiscitario. Uguale è poi l’intento di approfittare di sistemi elettorali iniqui per consegnare il governo a leader espressione di una minoranza degli elettori. Simile, molto simile, una certa eccessiva spregiudicatezza nell’uso delle risorse pubbliche a fini di parte (si veda il recente scandaloso caso delle liste degli italiani all’estero) e una notevole propensione alla bugia seriale.
A parte qualche tratto antropologico comune (c’è del resto chi afferma che entrambi siano, per qualche aspetto, eredi di Berlusconi) e l’enfasi di Donald sul recupero dei valori dell’America bianca e maschia, comune è il progetto di rispondere alla crisi della democrazia accentuando determinate caratteristiche autoritarie del sistema. In questo senso entrambi riflettono la tendenza di fondo del sistema capitalistico a diventare sempre meno democratico. Altro elemento comune è poi costituito dall’effetto profondamente divisivo delle loro politiche, che costituiscono un’autentica minaccia alla coesione nazionale e all’esistenza di una cultura costituzionale comune, l’uno in Italia e l’altro negli Stati Uniti.
Se la crisi e le problematiche non sono solo nazionali, ma comuni all’intero Occidente, quello che è necessario ed urgente fare è ripristinare tale coesione, riscoprendo valori di effettiva uguaglianza e solidarietà e salvando la democrazia dal sequestro operato dai poteri economici e finanziari. Comune deve quindi essere la risposta a tale disegno antidemocratico e populista di destra che assume le sembianze di Renzi o quelle di Trump. D’altronde, se è vero che quest’ultimo cerca di conquistare i settori più rozzi dell’elettorato statunitense attingendo all’arsenale del razzismo e del sessismo, è pur vero che la radice di tali fenomeni è collocata precisamente nelle politiche neoliberali di cui Matteo Renzi è da noi il fedele esecutore.