La testimonianza diretta di un giornalista dalla campagna elettorale del 2008. E i troppi buchi del sistema. Schede stampate da aziende private senza filigrana, nessun controllo successivo. E la possibilità di giocare su quanti sono irreperibili perché hanno cambiato residenza o sono tornati in patria. Votando al posto loro
Il voto all’estero, nato con uno spirito encomiabile, negli anni si è trasformato in una modalità perversa di cattura del consenso di centinaia di migliaia di italiani inconsapevoli dei sacri diritti costituzionali, sistematicamente violati ad ogni tornata elettorale o referendaria. Complice l’extraterritorialità giudiziaria, i sistemi di brogli sono tantissimi e abusati. Compreso quello del voto collettivo nelle cene elettorali. Nell’aprile del 2008, nella campagna elettorale per le politiche, ho avuto modo di assistere a uno di questi momenti, molto popolani, in un paesino svizzero, con un candidato che verificava di persona durante la serata, se le preferenze e i voti nei plichi fossero corretti e soprattutto per la sua persona. Sul tavolo, come un trofeo di caccia, i plichi elettorali votati in una pila di buste che poi sarà lo stesso onorevole ad imbucare nell’ufficio postale più vicino.
Segnalai subito la cosa alle autorità consolari, che risposero: “Nel voto per corrispondenza l’autorità è responsabile fino all’invio del plico a casa”. Allora pubblicai la mia inchiesta sui giornali all’estero e sul settimanale Diario con un articolo “Brogli all’estero, c’est plus facile”. Nel 2008 il Fatto Quotidiano non esisteva e le altre testate sembravano poco interessate al voto all’estero del tutto ininfluente, quell’anno, ai fini dell’esito della votazione.
All’estero si è nelle terre di mezzo, dove la giustizia italiana non conta (infatti i bilanci delle associazioni ed enti italiani all’estero sono schizofrenici, alla Svizzera si danno quelli che si consegnano in Italia, soggetti quindi alla legge italiana, e viceversa all’Italia si danno quelli svizzeri non impugnabili con norme italiane). Quindi il rito collettivo del voto scambiato con un piatto di pasta non è una violazione delle leggi svizzere. Proprio come sostiene l’ambasciatrice Cristina Ravaglia nel suo documento inviato al Quirinale – svelato da Il Fatto Quotidiano – il diritto costituzionale alla segretezza del voto non può essere garantito all’estero dal voto per corrispondenza. Il problema sta nel fatto che i consolati sono semplicemente uno sportello postale, mentre le ditte che si occupano di logistica, stampa e spedizione in Italia del materiale elettorale sono ditte private di fiducia dei vari consolati.
Barare, così, diventa semplice. Per esempio, si possono falsificare i fatidici plichi che giungono a casa degli italiani all’estero. Come? Il materiale elettorale arriva nella cassetta della posta senza alcuna protezione. Nessuna raccomandata, nessuna ricevuta. Le schede sono falsificabili perché non hanno alcuna filigrana e vengono stampate all’estero (senza nessuna specifica accortezza protettiva) da ditte private, che ricevono l’appalto dai consolati. Il certificato elettorale e il codice dell’elettore sono dati alla portata di tutti quelli che hanno già partecipato a competizioni elettorali. Circa l’8% dei plichi torna indietro per “errore nella spedizione, cambio di indirizzo, rientro in Patria o trasferimento”. Che cosa succede a questi plichi rientrati? La legge prevede che siano inceneriti, ma non che si compili un elenco di questi elettori non raggiunti, da spedire a Roma per una verifica incrociata o un controllo dove avviene lo spoglio, a Castelnuovo di Porto. Così, grazie all’alto numero di astensioni e all’impossibilità di effettuare controlli su elenchi specifici, qualcuno potrebbe stampare le schede e le buste, duplicare un semplice tagliando con il numero/codice dell’elettore che può essere individuato attraverso la banca dati messa a disposizione dal Ministero ai candidati nelle scorse elezioni all’estero.
Ma com’è possibile individuare gli elettori da cui tornano indietro i pacchi?Semplice. L’organizzazione potrebbe fare all’elenco degli elettori ricevuto dal Ministero una spedizione “civetta” di materiale elettorale di propaganda. Una volta tornato indietro il materiale, da elettori non raggiunti, costruisce i plichi falsi da inviare assieme al codice elettore. Nessuno andrà a verificare se tizio ha votato in Germania, dopo essersi trasferito dalla Francia, perché non vi sono elenchi per le verifiche incrociate. In più nel caso del referendum, non vi sarà alta competizione, quindi mancheranno anche i controlli dei protagonisti di questo evento elettorale con scrutatori o rappresentanti di lista.
La cosa è ben nota negli ambienti all’estero e tra le autorità ministeriali. Infatti a Castelnuovo di Porto – il grande capannone nei pressi di Roma dove vengono scrutinati i voti degli italiani all’estero, ndr – spesso sono state rinvenute schede con diverse sfumature di colore o palesemente votate da un’unica persona. La questione era stata sollevata da candidati concorrenti, ma in questa occasione chi vigilerà? Inoltre vi è il ruolo dei patronati e di alcuni sindacati ai quali generalmente gli italiani all’estero portano i plichi per farsi spiegare di che cosa si tratti, come fanno generalmente per le tasse. Si potrà contare sul senso civico di questi enti finanziati da fondi pubblici?
Insomma il fallace voto per corrispondenza all’estero, con una partita referendaria che si gioca al cardiopalma, potrà essere decisivo. E potrebbe non essere, come in Austria, una questione di colla.