Qualche tempo fa scrissi un post sul perché il proprio essere gay fosse un parametro, insieme ad altri, per decidere cosa votare al referendum costituzionale del 4 dicembre. In molti, dal fronte del Sì, oltre a non aver apprezzato l’articolo (era prevedibile) e ad aver risposto con insulti e dinamiche da branco (tipico di certo renzismo che avanza), non hanno saputo comprendere che quel “voto gay” sul referendum non investe tanto il proprio orientamento sessuale, quanto la lotta politica relativa alla questione Lgbt. Rischio da calcolare, soprattutto in un contesto come il nostro in cui si confondono urla per idee e il momento dell’aperitivo per attivismo politico. Ma tant’è.
Aggiungo, a quelle riflessioni che reputo valide tutt’ora, che vale anche il discorso inverso: se per me è importante votare No perché sono (anche) gay, per qualcun altro sarà lecito e giusto votare Sì per la stessa ragione. Appartenere al movimento Lgbt, giova ripeterlo, non è solo una questione di naturali inclinazioni, ma è un discorso politico ad ampio spettro. Dico questo perché tra le critiche che mi arrivarono, oltre al fatto che mi si accusò di aver parlato a nome dell’intera comunità – è evidente che esiste un problema di scarsa capacità di analisi dei testi, nel nostro paese, soprattutto quelli più complessi – ci fu anche quella che non si poteva addurre una ragione siffatta per decidere in cabina elettorale.
Faccio questo lungo preambolo perché leggo di appuntamenti per il “Sì al referendum” dove le maestranze Lgbt vicine al Pd si giocheranno la carta delle unioni civili. Pericolo che avevo già sottolineato e anche in questo caso mi si fece notare, con la dolcezza di un nazgul, che non c’era nessuna operazione in tal senso e che, naturalmente, era tutta una mia invenzione dettata dalla vis anti-renziana. Temo, invece, che questo legame a doppia mandata tra l’ex ddl Cirinnà e il Sì al referendum sia uno dei tanti grimaldelli di cui si stanno servendo governo e maggioranza per portare acqua al loro mulino.
La stessa senatrice dem, per intenderci, ha fatto un video in cui parla della necessità di accorciare i tempi tra Camera e Senato, portando ad esempio proprio la sua legge (poi trasformata in decreto, votato con la fiducia). Dimentica di dire, e immaginiamo anche il perché, che non c’è stata nessuna navetta tra le due Camere, che il testo è rimasto in Senato per quasi tre anni per l’incapacità politica di chi lo ha portato avanti e perché si è ceduto a ogni ricatto dei cattodem (complice anche l’epic fail del M5S sul canguro, ma questa è storia vecchia e risaputa).
In pratica, dal fronte del Sì sembra emergere la vulgata seguente: siccome “ci hanno concesso” i diritti (di serie B), dobbiamo essere grati al governo e votare di conseguenza. Al di là della boutade mediatica, credo che battere cassa sulla nostra pelle è l’ennesimo insulto da parte di quella classe dirigente sui diritti e la dignità della nostra comunità. Discorso, il mio, che non tocca ovviamente il proprio sentirsi “gay” (inteso come categoria politica) rispetto al referendum, ma la pretesa da parte di un partito di capitalizzare un voto su quello che era un atto dovuto (l’Europa si era già espressa, in merito, per altro).
Sarebbe bello che all’incontro che si farà in un noto locale vicino al Colosseo e punto di riferimento della comunità romana, qualcuno facesse domande tipo: ma se dovesse passare la riforma e venissero introdotti i referendum di indirizzo, come si porrebbero i sostenitori del Sì di fronte all’ipotesi – ventilata da Fioroni – di proporne uno contro il matrimonio egualitario e adozioni? Perché questo, ad esempio, è un rischio conseguente e qualora venisse fatto un referendum contro di noi, ci sarebbero ampi margini di vittoria da parte degli omofobi (ricordiamoci il dibattito sulle più annacquate stepchild adoption). Poi certo, sarebbe stato ancora più bello un confronto tra le ragioni del Sì e del No, ma chiedere piena democrazia a un partito che di democratico ha solo il nome è forse esercizio di utopia. Il tempo ci darà le risposte di cui abbiamo bisogno. Nella speranza che non siano uguali agli incubi che speriamo di scongiurare.