C’è una categoria di artisti che io amo senza riserve: gli artisti di strada. Vivo in una città frenetica come Milano dove le persone di solito non hanno tempo da perdere (come i morti) o devono sempre scappare (come i ladri), e allora l’artista di strada diventa essenziale per ricordarci che il tempo ha anche altre dimensioni oltre a quella della fretta. Quindi un contorsionista in piazza del Duomo mi ricorda che il corpo non è solo un automa dal passo veloce: il corpo si contorce e crea forme di stupore elastico.
Una ballerina argentina dal sorriso abbagliante mi fa sentire la gioia della giovinezza in una città incastrata nel traffico
una statua vivente all’angolo di una strada mi fa sperare in un’altra vita, ma non dopo la morte, in un’altra vita in questa vita.
Un fachiro mi fa sognare di lontananze esotiche anche se mi trovo tra un gruppo di leghisti che mi urla “Uè pirla, vai a lavurà”. I dream-painters mi ricordano che posso incontrare anche un sogno dipinto sull’asfalto.
I musicisti mi donano melodie strappate al concerto mortale dei clacson. E una notte di tanti anni fa parlai con una prostituta dolcissima, e se non fosse stata figlia della miseria, e schiava della malavita, avrei voluto dirle: “Anche tu, bellissima e malinconica ragazza, sei una artista di strada, col tuo passo leggero fai sognare i lampioni e sei così gentile che non vuoi battere nemmeno i marciapiedi: li lasci vincere“.
Gli artisti di strada ci ricordano che l’arte è una compagna di percorso, ci ricordano che la vita, il tempo e l’amore hanno mille sfumature, e che non dobbiamo mai farci
mettere i paraocchi: il nostro sguardo deve affondare nel sogno.