Le recenti elezioni presidenziali americane un effetto lo hanno già ottenuto: il Messico è un paese frastornato, quasi fosse il vero sconfitto dalle elezioni americane, è questa la prima lettura del risultato uscito dalle urne. Se in queste ore gli analisti di tutto il mondo si sforzano di individuare le cause che hanno spinto gli elettori a preferire l’estemporaneo Donald Trump alla più navigata Hillary Clinton, nel vicino Messico già saggiano le conseguenze del voto.

Il peso, la moneta messicana, ha subito una caduta consistente, superiore al 10%, e per le prossime settimane gli esperti prevedono che la svalutazione della moneta potrebbe arrivare al 20% e oltre. Un disastro finanziario ha bussato alla porta già scricchiolante del Messico, uno shock provocato dal neo presidente che ha fatto della xenofobia antimessicana uno dei punti qualificanti della propria campagna elettorale.

Il solo annuncio delle scorse settimane di voler costruire un muro divisorio lungo i tremila e duecento chilometri di frontiera con il Messico, accompagnato con la promessa di rinegoziazione del Nafta, il Trattato di libero scambio con Messico e Canada in vigore dal 1994, ha portato alla caduta del peso, con ripercussioni immediate su un’economia già fragile, colpita al cuore dalla crisi del petrolio, e con il fardello di un tasso di povertà altissimo, in alcune aree superiore al 40%.

Rivedere il Trattato di libero scambio, nell’ottica del Tycoon, significa ridurre gli scambi, introdurre misure di protezionismo interno, con inevitabili conseguenze per i flussi commerciali messicani il cui export dipende in larga parte, addirittura per un tasso pari all’80%, dal mercato statunitense.

Se poi consideriamo che Trump ha in agenda il sequestro delle rimesse monetarie, un flusso di 30.000 milioni di dollari all’anno, che i messicani sin papeles negli Usa inviano in patria, la tassazione dei prodotti delle aziende Usa che assemblano in Messico, in primis elettrodomestici, per risparmiare sulla mano d’opera, la deportazione dei migranti, allora il quadro economico assume tinte più fosche.

In queste ore si ripete che il Trump presidente sarà molto diverso da quello visto in campagna elettorale, intanto lo scorso 22 ottobre nella città di Gettysburg, in Pennsylvania, nel pieno della competizione, il Tycoon sottoscriveva con gli elettori “il contratto con gli americani”, un piano di azione per imprimere un incisivo cambio di rotta, già nei primi cento giorni di presidenza repubblicana.

Entro febbraio del prossimo anno, quindi, il Congresso dovrebbe licenziare, tra i principali provvedimenti, la cosiddetta legge di Offshoring diretta a dissuadere le imprese a dismettere produzioni in patria per trasferirsi al di là della frontiera messicana, inviando i prodotti finiti negli Usa senza dazi. Sarà quello un durissimo banco di prova per l’economia messicana, il presidente del Messico Peña Nieto lo sa, e in questi giorni si sforza di ripetere che i legami tra i paesi sono forti e mutuamente necessari.

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