A parole tutti dicono che gli investimenti in ricerca scientifica di base e innovazione sono un fattore cruciale per migliorare il benessere ed espandere la libertà delle future generazioni. Nella pratica dei voti parlamentari succede tutt’altro.
Le legge di Bilancio è occasione ghiotta per far passare mance di ogni tipo. Se poi ci sono delle votazioni in vista, peggio. Nel nostro caso, con gli imminenti referendum dai quali il governo Matteo Renzi potrebbe giocarsi il futuro, al peggio non c’è mai fine: ciascuna categoria sociale organizzata è fatta bersaglio di una agevolazione, dagli insegnanti alle mamme, passando per gli imprenditori. Nessun disegno strategico, nessuna misura destinata a durare, come invece sarebbe l’investimento in ricerca scientifica. Ma gli scienziati, si sa, sono pochi e non particolarmente influenti.
Alcuni scienziati dell’associazione Luca Coscioni hanno deciso di opporsi all’ineluttabile e di avanzare una richiesta precisa: decuplicare i fondi alla ricerca di base. Non pensate che stiamo parlando di grandi cifre, costerebbe comunque meno di un pezzettino di Ponte sullo Stretto. Questo quello che Michele De Luca, Gilberto Corbellini, Roberto Defez e Giulio Cossu hanno scritto:
“Noi proponiamo che la dotazione dei Prin (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale) sia portata dalla attuale cifra di 92 milioni di euro per il triennio 2016-2018 alla cifra di 400 milioni di euro l’anno. Tale decisione immediata segnerebbe l’avvio di un nuovo corso, e farebbe dell’Italia un sistema-Paese che investe in conoscenza al pari delle altre grandi economie fondate sul sapere, e certamente innescherebbe un confronto anche sulle modalità più efficaci per l’assegnazione competitiva dei fondi e sulle altre regole decisive per attrarre scienziati e capitali stranieri. Quattrocento milioni di euro all’anno sui Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale avrebbero un enorme impatto positivo sul sistema della ricerca di base, al tempo stesso causando un impatto negativo relativamente modesto sulle casse dello Stato. Infatti, la spesa potrebbe essere coperta dalla riduzione di incentivi a pioggia alle persone e alle imprese (incentivi che si sono dimostrati inadatti a produrre un effetto sistemico quale invece la ricerca indiscutibilmente determina)”.
Vedremo se saranno ascoltati. C’è da dubitarne, ma potrebbe comunque essere l’inizio di un moto di ribellione contro quella retorica pro-ricerca che si infrange al primo fremito clientelare e corporativo.