Se sui social critichi l’operato del governo e sei pure sostenitore del Movimento 5 Stelle potresti finire sotto indagine. Sì, tu: cittadino qualunque. È successo negli ultimi giorni. E la cosa a me preoccupa molto. Perché illumina e bene quali siano le conseguenze del potere in mani incapaci di gestirlo nel rispetto dei limiti. Ad esempio la libertà d’espressione, l’articolo 21 della Costituzione, quella che proprio questi signori hanno riscritto. Sempre che quanto riportato da La Stampa questa mattina su una presunta rete di “cyber propaganda” sia vero. Per tale lo prende il Pd, che sulla base di quell’articolo ha presentato un’interrogazione al governo. Dunque riteniamolo corretto. Cosa racconta La Stampa?
È capitato che un esponente del governo si sia rivolto a una procura della Repubblica accusando alcuni utenti privati di fare propaganda contro il premier e a favore dei pentastellati. Una denuncia in piena regola presentata dal potente Luca Lotti – sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nonché braccio destro di Matteo Renzi – contro alcuni profili ritenuti “colpevoli” di fare propaganda politica. La procura è stata chiamata ad accertare se quegli utenti sono fake (finti) o pagati dalla Casaleggio. E il bello è che gli inquirenti gli avrebbero dato seguito e avviato delle approfondite indagini.
Badate: quei profili social non hanno minacciato o aggredito direttamente Lotti né altri esponenti dell’esecutivo. Forse qualche insulto, qualche fotomontaggio per canzonare il politico di turno. Leggendo La Stampa sembra che la causa sia l’aver preso apertamente una posizione, con toni anche aspri magari. Una posizione avversa al governo e a sostegno di un partito di opposizione. E mica in tv, sui quotidiani, ma semplicemente sui propri profili Facebook o Twitter. Certo, anticipo la contestazione: potrebbero essere pagati da Casaleggio e Grillo proprio per criticare il governo e fare propaganda. Quindi? Anche se fosse. Se applicassimo lo stesso assunto a tutti, gli stipendiati del Pd dovrebbero finire sotto indagine, quelli della Leopolda associati a una loggia massonica, i componenti dei comitati del Sì denunciati per pubblicità ingannevole porta a porta mentre Renzi e Maria Elena Boschi accusati di stalking mediatico.
Oppure il reato (per fortuna ancora inesistente) è proprio quello di essere apertamente contrari al partito del premier e al premier? Certo, è un’esasperazione. Ma esasperare un piccolo evento permette di comprenderne le conseguenze. I social di oggi sono le piazze di ieri. Vero, il contatto è più diretto. Si può andare sul profilo del presidente del Consiglio e insultarlo. Ma se capita il premier può difendersi legalmente. Anche se un rappresentante delle istituzioni, per il ruolo pubblico che ricopre, deve accettare critiche e pure qualche insulto: fa parte del “lavoro”. Se poi il partito di cui il premier è segretario ha persone che fanno altrettanto con i propri oppositori politici, allora il silenzio è l’unica via. A meno che non ci si senta superiori a tutti, anche alle regole. Pare proprio che questo Pd voglia scendere in campo commettendo falli e aspettandosi che l’arbitro fischi solo quelli degli avversari. E se quelli non li fanno, allora se l’inventi l’arbitro.
La principale “accusata” da Lotti (secondo La Stampa) è Beatrice Di Maio. Chi è? Una persona su Twitter. Nessuna parentela con Luigi Di Maio. E anche se fosse, cambierebbe poco: siamo ancora in uno Stato di diritto. L’articolo de La Stampa è dedicato per lo più a lei, il titolo è eloquente: “Ecco la cyber propaganda pro M5S. La procura indaga sull’account chiave”. L’account chiave sarebbe quello di Beatrice Di Maio. Nell’articolo si legge che Lotti ha presentato denuncia, ma non si capisce bene per quale reato; sembrerebbe diffamazione ma gli inquirenti vengono citati di sfuggita e in maniera assolutamente vaga (non un nome dei pm, non il modello del fascicolo, nulla) inoltre, se fosse diffamazione, sarebbe diretta a una singola persona e per eventi e parole specifici non certo a una presunta rete di “cyber propaganda”.
Comunque. Beatrice Di Maio ha quasi 14 mila follower che nell’articolo vengono spacciati come fossero un’enormità, ma vabbè. Attraverso questa rete diffonderebbe il verbo grillino. In pratica questa l’accusa. A lei poi sarebbero collegati altri profili, di altri utenti. Le loro colpe? Scrive La Stampa: “@BVito5s, Rottamiamo Renxit, account dedicato alla distruzione del premier. @Teladoiolanius (contenuti di destra, anti-immigrati e pro Trump), @Kilgore (bastonatura di avversari, politici o giornalisti) e @AndCappe (account vicinissimo a @Marpicoll, a sua volta ghost di @marionecomix, account delle vignette grilline di satira pesante a senso unico), o di recente @_sentifrux (Sentinella), @carlucci_cc (Claudia) e @setdamper”. Ora io sono andato a guardarli questi profili. Incuriosito. Marionecomix fa vignette pro Grillo. Kilgore è decisamente a favore del No al referendum, così come tanti altri del Pd lo sono a favore del Sì. Comunque il rischio è proprio questo: o si guarda tutti e si tutelano tutti o è limitare la libertà d’espressione.
Stamani il Pd, per mano di Emanuele Fiano, ha preso l’articolo de La Stampa e ne ha fatto un’interrogazione al governo (sigh), chiudendo il cerchio: dal governo al governo passando per il Pd. Usano il loro potere per limitare i cittadini sui social? Si potrà parlare solo bene del capo e delle sue politiche e criticare solo gli avversari? E a seconda del numero dei follower saranno introdotte delle pene? Luigi Di Maio ne ha 146 mila e non mi pare pro Renzi. Che vogliamo fargli? E a Pippo Civati che ne ha 274 mila ed è piuttosto a favore del No? Gli togliamo internet per un mese? Marco Travaglio poi, oltre ad andare in tv, nei teatri e dirigere un giornale critico nei confronti del governo, su Twitter ha quasi un milione e mezzo di persone che lo seguono e leggono. Interdetto dai social per sei mesi? O a vita? Siamo seri per favore. Vi prego. Basterebbe molto meno.
Credo che tutti debbano ritrovare dei toni civili sui social, mentre chi ci governa dovrebbe ritrovare il senso del limite e non abusare del proprio ruolo, tanto meno rivolgendosi a una procura contro dei singoli cittadini. Grillo paga qualcuno per fare propaganda? Non è reato. E se lo fosse lo commetterebbero tutti. I fake e troll e via dicendo del Pd sono ormai una corrente interna del partito. Siate seri. Vi prego.