“Capo Colonna ha superato le 22.000 preferenze”. Il post del 5 novembre sulla pagina facebook di Capo Colonna-area archeologica si riferisce alle preferenze che il sito in provincia di Cosenza ha registrato nei “Luoghi del cuore”, il censimento nazionale, promosso dal Fondo ambiente italiano (Fai), “che chiede a tutti i cittadini di segnalare i piccoli e grandi tesori che amano e che vorrebbero salvare”.
Salvare? Quindi quel sito affacciato sul mare corre ancora dei pericoli? Ma non era stato tutto risolto dopo le polemiche per il tombamento dei resti evidenziati nel rifacimento della pavimentazione antistante la Torre Nao e la chiesa della Beata Vergine di Capo Colonna? Una visita all’area archeologica chiarisce ogni dubbio. Sfortunatamente non dissipa i timori. Il cemento sui resti del foro romano è stato rimosso, ma i lavori proseguono a intermittenza.
Con lunghi fermi. Ma non è questione di risorse insufficienti. Esiste l’intervento Spa 2.4 “Capocolonna (Kr). Ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica e messa in sicurezza delle strutture archeologiche riportate in luce” finanziato con le risorse del Fas, per un importo di 2.500.000 di euro. Progetto ripensato nelle modalità, interessato da due varianti, ma senza cambiare le cifre. Eppure i mosaici sono in attesa degli interventi previsti, così come la porticus affacciata sul foro.
La recinzione su questo versante dell’area archeologica, permette senza difficoltà di penetrare al suo interno. Né è presente un sistema di telecamere. Circostanza doppiamente pericolosa. Innanzitutto perché mette a repentaglio l’incolumità dei visitatori meno ligi alle regole, dal momento che questo settore termina con una falesia a strapiombo sul mare, e poi perché lascia ampia libertà di azione agli scavatori abusivi.
“Capo Colonna è, e le buche praticate nel cantiere del foro in quest’ultimo periodo lo confermano, una sorta di campo scuola”, denunciava ad aprile 2016 Margherita Corrado, Presidente dell’associazione culturale Sette Soli. L’unico elemento portato a termine è la strada che collega, correndo a strapiombo sul mare sul lato esterno della recinzione del parco, il parcheggio, la chiesa, il bar, la Torre Nao e gli edifici della seconda metà del Settecento, ancora in parte privati.
La nuova sostituisce quella realizzata agli inizi del 2000. Il motivo del rifacimento, inserito nella seconda variante dell’Apq Spa 2.4? Il piancito delle tavole di legno si era in più punti gravemente deteriorato, ma soprattutto le dimensioni del tracciato non consentivano l’eventuale passaggio dei mezzi dei Vigili del Fuoco. Così, la strada comunale, ufficialmente chiusa al traffico, ma in realtà percorsa dai pochi residenti e dai turisti, è stata rifatta. Non più sospesa sui resti antichi, come in precedenza, ma direttamente appoggiato al di sopra di essi, come da progetto autorizzato dalla Soprintendenza.
Non più un ponte che tutelava l’integrità delle strutture romane, ma un attraversamento in cemento che le utilizza come fondazione. Mura romane e parte delle domus “affogate” dal cemento moderno. Scelta tecnica questa che non sembra proprio in linea con le norme in tema di restauro e neppure con quelle di musealizzazione di aree archeologiche. Un piccolo-grande obbrobrio. Un abuso realizzato dallo Stato. Mentre la nuova strada fa “bella mostra” di sé, dentro l’area del foro e altrove tutto rimane pressoché com’era.
L’area del tempio è ancora chiusa dalla recinzione di cantiere del 2003-04, ormai fatiscente, mentre il tracciato che dovrebbe consentire, percorsa la via sacra, di girare verso la colonna, è sbarrato. Che dire poi dei totem, realizzati nel 2003-04, con le informazioni sul sito? Per la gran parte sono stati rimossi perché deteriorati e quelli che ci sono sono quasi illeggibili.
E’ vero che nel parcheggio sono state installate alcune frecce direzionali, per indicare Museo e Parco, ma sembra davvero poco per un’area archeologica di così grande rilevanza. Pochissimo, considerando che non esiste alcun materiale informativo per i visitatori. Nessuna pubblicazione, neppure un pieghevole. Eppure nel progetto Apq Spa 33 “Intervento di miglioramento della fruibilità dell’area”, del 2012, compariva una specifica voce al proposito. “Per pubblicazione didattica e illustrativa del Parco archeologico” erano stati previsti 11.550 euro. Anche il verde continua a essere lasciato nell’incuria. Rimangono al loro posto le palme, morte, assalite dal punteruolo rosso, nonostante almeno in alcuni casi la loro presenza costituisca un evidente rischio per l’incolumità dei visitatori.
Le risorse non sembrano aver cambiato la sorte di un’area archeologica che può contare su un contesto naturalistico più che invidiabile. Risorse alle quali aggiungere i 900 mila euro previsti dall’ultima Legge di stabilità. Le cause di questa situazione? Forse bisognerebbe cercarli nella mancanza di un’idea complessiva sul da farsi. Nel perpetuarsi di un’idea confusa di valorizzazione. Peggio, sbagliata.