Per due volte nell’arco di un mese il presidente della Bce si è visto costretto a recarsi a Berlino per difendere le proprie scelte. Negli ultimi tempi, all’interno del governo di Angela Merkel e tra gli economisti tedeschi, si sono ingrossate le fila delle voci ostili a Mario Draghi. La materia del contendere riguarda la politica monetaria inaugurata negli ultimi anni sotto il segno del quantitative easing. L’iniezione massiccia di liquidità nelle economie dell’Eurozona attraverso l’acquisto di titoli governativi, il sostegno alla curva dell’inflazione e il ribasso dei tassi d’interesse continuano a essere visti dalla Germania come il fumo negli occhi.
Eppure c’è stato un tempo in cui all’establishment tedesco Draghi andava a genio. Al momento del suo insediamento un giornale d’assalto come la Bild lo poteva ancora celebrare con la massima onorificenza sul campo definendolo il “più prussiano di tutti gli italiani”, uno sulla cui lealtà alle regole del monetarismo si poteva fare affidamento, nonostante le origini mediterranee. Ma erano altri tempi e in Italia s’era appena formato il governo Monti dopo l’era Berlusconi. L’idillio con Berlino si interrompe bruscamente nell’estate del 2012 quando Draghi annunciò un cambio di strategia. L’euro era sotto l’attacco della speculazione finanziaria e paesi come la Spagna e l’Italia rischiano di soccombere sotto il peso degli interessi sul debito pubblico. Il presidente promette sotto gli occhi attoniti della Germania che la Bce farà tutto il necessario per mettere in sicurezza la sopravvivenza della moneta unica, anche a costo di acquistare – se necessario – i titoli di Stato dei paesi investiti dalla crisi. Per i tedeschi l’annuncio di Draghi è come un voltafaccia, oltre che una mossa troppo disinvolta rispetto ai reali poteri accordati dai Trattati dell’Ue alla Bce.
Per tutta risposta, da Berlino cominciano a partire gli attacchi a Draghi dalla stessa maggioranza di governo. Parlamentari della Csu lo definiscono un “falsario“, reo di stampare carta moneta e alimentare l’inflazione. Anche la Bundesbank, principale azionista di riferimento della Bce, si mette di traverso. La convivenza si fa sempre più difficile e cominciano a trapelare le prime indiscrezioni su presunti dissidi nel board dell’Eurotower. Da allora, esternazioni e critiche diventano una costante, puntuali a ogni giro di vite verso il basso dei tassi d’interesse. Una scelta obbligata secondo Draghi, per scongiurare il rischio di deflazione e rimettere in moto l’economia nella zona euro; una misura, invece, dannosa e penalizzante per i risparmiatori tedeschi, agli occhi di Berlino.
Poi, nell’aprile scorso, con i tassi ormai allo zero, gli attacchi superano il livello di guardia. “La politica di Mario Draghi ha fatto perdere credibilità alla Bce”, dichiara il vicecapogruppo della Cdu-Csu. Berlino invoca un cambio della guardia. “Dopo la fine del suo mandato (ottobre 2019, ndr) il prossimo presidente dovrà essere un tedesco, fedele alla tradizione della stabilità monetaria della Bundesbank”. Altre voci, stessa lunghezza d’onda, sempre nelle file della Csu: “Un altro come lui non possiamo permettercelo. In futuro avremo bisogno di un esperto di finanza tedesco”. Ma il nemico numero uno di Mario Draghi è molto più in alto. Si chiama Wolfgang Schäuble. Sullo Spiegel esce la notizia che il ministro delle finanze di Angela Merkel starebbe pensando di procedere per vie legali contro il presidente della Bce e la sua “disinvolta” politica monetaria.
Il vento ormai è cambiato e Berlino sembra aver voltato definitivamente le spalle al presidente della Bce. Gli attacchi non sono più voci del sen fuggite, ma un orientamento che chiama in causa la stessa cancelliera. Il governo di Angela Merkel è molto meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle prossime elezioni per il Bundestag, che si terranno nel 2017, in uno scenario politico insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento. In alcuni Länder dove si è votato di recente il partito della Merkel è sceso al di sotto del venti per cento – vedi Berlino, Amburgo e il caso del Mecklenburg–Vorpommern. E se non bastasse, a rendere ancora più incerto il futuro politico della cancelliera è la concorrenza che viene da destra. Ormai la Cdu deve fare i conti con la crescita dei “populisti” di Alternativa per la Germania (AfD), presenti su tutto il territorio nazionale e con risultati in alcuni Länder che superano il venti per cento.
Neanche a dirlo, i due temi rispetto ai quali la cancelliera è maggiormente sotto attacco dell’opposizione alla sua destra sono l’immigrazione e l’Europa, intrecciati in maniera indissolubile l’uno all’altro. Se l’apertura delle frontiere nei mesi scorsi ha consentito ai populisti di intercettare paure e inquietudini nell’elettorato, il battage contro le politiche dell’Ue che strozzano contribuenti e risparmiatori tedeschi ha fatto il resto. Su questa linea l’imputato numero uno è naturalmente lui, Draghi, simbolo di un’Europa che fagocita i popoli in nome della finanza. L’AfD soffia sul fuoco e mette sotto accusa la Bce, ritenuta colpevole di voler trasferire alla Germania il debito pubblico dei paesi inaffidabili del sud Europa acquistandone i titoli di stato. Anche il taglio dei tassi d’interesse è percepito come una politica anti-germanica che erode il risparmio privato e la redditività delle banche tedesche. Questo mentre la crescita economica rallenta: stando ai dati diffusi il 15 novembre dall’Ufficio federale di Statistica, nel terzo trimestre di quest’anno il pil della Germania ha segnato un aumento dello 0,2% contro lo 0,4% del secondo.
Ma non è solo l’AfD a inneggiare nel proprio programma alla “fine delle politiche di salvataggio dell’euro” e all’uscita dalla moneta unica. L’antieuropeismo è ormai penetrato in profondità nell’opinione pubblica tedesca. Negli ultimi tempi gli elettori hanno dimostrato di essere sensibili ad argomenti del genere. Il prossimo anno si voterà per il Bundestag e non è detto che la cancelliera potrà permettersi di rimanere impassibile di fronte a questa realtà. Trascinare Draghi sul banco degli imputati può rappresentare una carta in extremis per arginare la crescita di consensi alla propria destra.