È di circa un mese fa la notizia della firma di un contratto di sviluppo tra Invitalia – agenzia controllata dal ministero dell’Economia – ed un’industria farmaceutica di Anagni, in provincia di Frosinone. L’accordo, che fa leva su quasi 50 milioni di euro tra risorse pubbliche e di provenienza europea, avrebbe dovuto rappresentare una boccata di ossigeno per un territorio appena riconosciuto dall’Unione Europea come area di crisi industriale complessa. Il percorso di concreta attuazione del contratto di sviluppo è però di fatto in un limbo. Perché Invitalia non sa letteralmente che pesci pigliare, dopo che alla DPhar – questo il nome dell’azienda chimica di Anagni – , come rivelato da un quotidiano locale online, è stato recapitato lo scorso 4 ottobre un decreto di sequestro per oltre cinquanta ettari di terreni, con la contestuale denuncia dei responsabili legali della stessa DPhar per concorso in attività finalizzate al traffico illecito di rifiuti. L’atto, emesso dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, discende, come si ricava da un comunicato stampa del Corpo Forestale dello Stato, da un’accusa particolarmente pesante: lo sversamento di ingenti quantità di fanghi nei terreni circostanti e di proprietà dell’azienda farmaceutica, sui quali venivano addirittura effettuate delle colture agrarie. Ciò, con l’aggravante di aver “altresì conseguito enormi guadagni derivanti proprio dal risparmio di spesa relativa allo smaltimento tramite ditte terze dei rifiuti costituiti dai fanghi”.
“I protocolli posti alla base di ogni nostra iniziativa che preveda anche l’utilizzo di finanziamenti pubblici e comunitari – ha riferito ilfattoquotidiano.it l’ufficio stampa di Invitalia – impongono di non stipulare alcuna intesa con aziende sotto inchiesta”. Ma l’inchiesta della magistratura ed i provvedimenti conseguenti sono stati successivi alla firma dell’accordo di programma. E per casi di questo tipo Invitalia, nonostante operi da anni nell’ambito dei contratti di sviluppo, non avrebbe disciplinato le relative contromisure. Come ad esempio, quale extrema ratio, lo stralcio del patto siglato. Ragione per cui, come confermato dalla stessa società, Invitalia ha deciso nelle scorse settimane di affidare a un pool di legali l’esame del caso. Per capire se e in quale modo l’accordo di programma possa proseguire o, al contrario, vada abbandonato o cautelativamente sospeso almeno fino al chiarimento definitivo della vicenda. Il tempo, però, stringe. E ora i sindacati temono che la capogruppo della DPhar, che ha sede in Germania, possa decidere di abbandonare il campo prima ancora che a Invitalia giunga un parere pro veritate. Fabio Ruzzini, amministratore delegato di DPhar, all’atto di presentazione pubblica del contratto di sviluppo, aveva sottolineato con forza “[…] la necessità che la tempistica del Contratto di Sviluppo possa essere coerente con quella della realizzazione degli investimenti”. Che valgono complessivamente 48,7 milioni di euro, di cui 21 concessi da Invitalia: 4,3 milioni a fondo perduto a valere su fondi stanziati dalla Regione Lazio e 16,7 di finanziamento agevolato. Il progetto industriale, a regime, nel 2018, avrebbe poi avuto una ricaduta occupazionale pari a circa 60 addetti – in parte assorbiti da aziende dell’area in crisi – , frutto della produzione di un nuovo antibiotico, nonché di un incremento della capacità produttiva relativa a un additivo per mangimi animali e ad un enzima destinato all’industria della carta.
Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione di Invitalia
Caro Direttore,
reiterate notizie su vari organi di stampa, suggeriscono le seguenti precisazioni in merito all’investimento di Dphar nel Lazio ed al connesso Contratto di Sviluppo.
Invitalia da sempre applica le leggi e i regolamenti vigenti. Lo ha fatto anche in questo caso.
Invitalia il 29 settembre 2016 ha sottoscritto un Contratto di Sviluppo con Dphar per sostenere un investimento nel settore farmaceutico nel Lazio con l’obiettivo, tra l’altro, di contribuire allo sviluppo di un’area di crisi e alla salvaguardia e all’incremento della base occupazionale.
Successivamente alla firma, l’azienda ha correttamente comunicato che alcune aree sulle quali insiste l’investimento sono state poste sotto sequestro per un’indagine connessa ad autorizzazioni ambientali che, a detta dell’azienda, non sono state revocate.
Invitalia non ha quindi sottoscritto il previsto contratto di finanziamento, in attesa di comprendere la sorte di tali terreni e della concreta possibilità di procedere all’investimento.
E’ superfluo, ma a questo punto necessario, ricordare che, ovviamente, nulla è stato erogato all’azienda, né potrà esserlo fino all’avvenuta sottoscrizione del suddetto contratto.
Ufficio Stampa Invitalia