Nell'ultimo giorno in cui è possibile pubblicare le rilevazioni, i principali quotidiani italiani si concentrano sull'analisi dei dati raccolti in questi mesi. Il fronte dei contrari è dato in vantaggio, ma non irraggiungibile. Tante la variabili da considerare: da chi potrebbe cambiare idea a chi invece non si presenterà alle urne
Il No in vantaggio dai 6 agli 8 punti, ma niente è deciso. Nell’ultimo giorno in cui è possibile pubblicare i sondaggi sul referendum del 4 dicembre prossimo, i principali quotidiani italiani pubblicano le analisi sulle tendenze di voto. E se tutti sono concordi nel dare stabile la vittoria del fronte dei contrari alla riforma, però non mancano le precauzioni. Tra le incognite da tener presente e che potrebbero influenzare l’esito finale ci sono: affluenza, indecisi, residenti all’estero e comizi finali. Gpf per il Fatto Quotidiano evidenzia che c’è un pareggio tra le motivazioni possibili di voto e quindi nonostante chi non ha ancora scelto sia più indirizzato verso il No potrebbe non bastare. Lorien consulting sottolinea che gli ultimi giorni di campagna elettorale avranno un effetto su chi sceglierà pochi giorni prima ed è necessario tener presente anche la variabile residenti all’estero: sono 3,5 milioni e non vengono tenuti in considerazione nei sondaggi. Inoltre Nando Pagnoncelli mette in guardia anche sull’affluenza, il numero di quelli che si recheranno alle urne è diminuito (1 su 2 non ci andrà) rispetto a ottobre, e sulla percentuale di coloro che potrebbero ancora cambiare idea.
E’ Ilvo Diamanti su Repubblica analizzare la geografia del voto: il No è forte al sud e al centro, mentre fatica di più al nord. Sono gli under 50 gli elettori più schierati contro la riforma Renzi, una fascia della popolazione storicamente più propensa all’astensione. Proprio questo elemento potrebbe favorire il Sì. Secondo La Stampa, come detto anche dal Fatto, gli indecisi sono più vicini al No. Inoltre l’endorsement al provvedimento di Gianni Cuperlo è visto come ininfluente dalla maggioranza degli intervistati, mentre quello di Denis Verdini potrebbe, dicono, portare a una scissione dentro il partito.
Infine i sondaggisti sono concordi nel dire che le sorti del governo sono percepite come vincolate all’esito del referendum. Secondo Pagnoncelli la personalizzazione è stata condizionata da Renzi, ma anche dalle opposizioni che hanno tutto l’interesse nel tenere il focus sull’esecutivo e sul suo successo o insuccesso.
GPF per il Fatto Quotidiano: “Sì dietro di 6 punti. Ma pareggio tra le motivazioni delle due parti. Indecisi propendono per il No”
L’analisi di GPF per il Fatto indica il vantaggio del No di 6 punti (32 per cento a 26%). Il fronte del Sì potrebbe però ancora farcela: gli indecisi sono il 14,2 per cento e, scrive Marco Cacciotto, “c’è un pareggio tra le motivazioni possibili di voto tra il Sì e il No”. Le motivazioni “forti” dei primi sono il “sostegno al governo in carica” e “il fatto che questa sia vista come l’ultima occasione per cambiare”, mentre dei secondi sono “la difesa della Costituzione” e “far cadere Renzi”. Chi non ha ancora scelto e propende per bocciare la riforma è il 5,3 per cento contro il 4,3. A influire anche la percezione complessiva sfavorevole nei confronti del governo e la convinzione diffusa che in caso di sconfitta il presidente del Consiglio debba dimettersi.
Lorien: “Il Sì può recuperare. Da considerare affluenza, residenti all’estero e fine campagna. Indecisi tendono a votare a favore della riforma”
Secondo l’analisi di Lorien lo scarto è sempre più ampio in favore del No (54,2%), ma il Sì (45,8%)può recuperare. Sono tre i fronti da considerare nel sondare gli umori: l’affluenza finale, considerando che gli indecisi sarebbero più propensi al Sì; i residenti all’estero, che sono 3,5 milioni, e non vengono calcolati nelle rilevazioni e potrebbero influenzare il risultato; la fine della campagna elettorale e i comizi che potrebbero spingere una parte dei cittadini a “votare sull’onda dell’impulso”. Secondo Lorien gli indecisi sono al 17 per cento e risultano in maggioranza vicini al Sì (6,5%) che al No (2,5%) a cui aggiungere un 8 per cento che non si esprime e potrebbe ancora scegliere l’astensione.
Piepoli per la Stampa: “No vince di 8 punti. Indecisi contro la riforma. Verdini spacca il Pd e Cuperlo ininfluente”
Avanti il No anche per Piepoli nell’analisi pubblicata su La Stampa: 54 per cento contro il 46 per cento. Per il 72 per cento degli intervistati la decisione è definitiva e non cambierà prima del voto. Tra chi è indeciso (24 per cento), il 24 per cento è più vicino al Sì e il 28 per cento più al No, mentre il 48 per cento non sa. Per quanto riguarda l’affluenza, si prevede che si supererà il 50 per cento e si arriverà alla soglia di 30 milioni validi. Secondo Piepoli, da luglio in poi per il fronte del Sì “non c’è più stata storia”. Gli indecisi sono attori centrali nel senso che intendono schierarsi, se sceglieranno alla fine di andare a votare, di andare a sostenere il No. Interessante anche la percezione rilevata in conseguenza dell’endorsement per il Sì di Gianni Cuperlo (visto come in generale ininfluente) e del plurimputato Denis Verdini, che se per il 47 per cento non influisce sul risultato invece per la maggioranza potrebbe portare a una scissione nel Pd.
Demos per Repubblica: “No in vantaggio di 7 punti. Sì più forte al Nord e tra gli over 65”
Secondo il sondaggio Demos per Repubblica il No è al 41 per cento, mentre il Sì al 34 con un distacco di 7 punti. Come segnalato da Ilvo Diamanti, si tratta di un’evoluzione significativa: il mese scorso la distanza era di 4 punti, mentre a settembre di 8 ma a vantaggio della riforma. Ancora presto però per dare per chiusa la competizione: il 25 per cento degli italiani intervistati è ancora indeciso, ovvero uno su quattro. La consultazione resta essenzialmente percepita come uno schierarsi pro o contro il governo (per il 62 per cento degli intervistati), piuttosto che per riformare la Costituzione (25%). Tanto che gli elettori seguono la linea data dai partiti: quelli per il Pd ad esempio sono tutti schierati a favore del provvedimento (75%), mentre solo i sostenitori di Ncd sono spaccati tra il Sì (30%) e il No (24%). Per quanto riguarda la distribuzione geografica, il Sì raccoglie più consensi al Nord e cala al centro e al sud. Il No è forte nella fascia 18-29 anni e in quella 30-44, mentre è debole tra gli over 65. Per quanto riguarda il consenso al governo: il 40 per cento dà un parere positivo all’operato dell’esecutivo. Una cifra in calo rispetto ai mesi scorsi: di 4 punti in confronto a ottobre e di 6 rispetto a settembre. Viene inoltre percepito, conclude Diamanti, uno stretto legame tra il presidente del Consiglio e il governo: da questa percezione deriva anche la necessità che sente Renzi di doversi dimettere in caso di fallimento del referendum.
Corriere della Sera: “No avanti quattro punti. Considerare indecisi, astensione e chi cambierà idea”
26,1% vs 21 per cento: il vantaggio del No sul Sì secondo il sondaggio del Corriere della Sera è di circa 5 punti, gli indecisi sono il 6.4 per cento e gli astensionisti al 46,5%. In questo scenario ci sono tre elementi da tener presenti: chi prevede di cambiare idea, gli indecisi e l’affluenza. L’analisi di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera parte dal fatto che c’è stata nell’ultimo mese una crescita di coloro che dicono di conoscere “a grandi linee” la riforma ( 51 per cento rispetto al 44 di ottobre). Solo il 12% dichiara di sapere nel dettaglio cosa prevede il provvedimento. Da notare il calo dell’affluenza che passa dal 57,7 per cento al 53,5 con una perdita di più di 4 punti. Per quanto riguarda l’area dell’incertezza viene quantificata nel 13 per cento del totale: il 6,4% si dice indeciso, il 6,6 per cento potrebbe cambiare idea. Viene inoltre considerato che una parte degli elettori già schierati si dicono disposti a cambiare idea: proprio come evidenziato da Demos, sono i centristi quelli più spaccati perché uno su tre ha dichiarato di poter rivedere la sua posizione. Pagnoncelli inoltre ha analizzato la campagna referendaria: l’attitudine è stata quella di personalizzare i contenuti anche per una notevole distanza del referendum dalle “priorità” degli elettori. Per questo slogan, comizi e dibattiti sono stati molto simili a quelli di una campagna per le elezioni politiche. Non solo Renzi ha quindi responsabilità nell’aver legato l’esito del voto al governo, ma anche le opposizioni che “hanno interesse a mantenere focalizzati gli elettori sullo scontro politico”.