Televisione

The Crown, così Netflix mostra come si affronta la Storia in una serie tv. Con buona pace de I Medici

La serie, ideata da Peter Morgan (già sceneggiatore di The Queen, peraltro), racconta i primissimi anni di regno della figlia di Giorgio VI, chiamata guidare il Regno Unito quando non aveva neppure 26 anni, dopo la morte del balbuziente e amatissimo padre

di Domenico Naso

A causa del suo atteggiamento austero e sin troppo regale, delle vicissitudini anche tragiche della sua famiglia, di oltre sessant’anni di regno vissuti tra alti e bassi, Elisabetta II d’Inghilterra non è certo la signora più simpatica del mondo. Al contrario, nel corso degli anni sono stati addebitate alla sovrana del Regno Unito anche colpe che non aveva, perché, in quanto capofamiglia degli esuberanti Windsor, toccava a lei fare da parafulmine.

Eppure, a guardare The Crown, nuova serie targata Netflix e disponibile da un paio di settimane, si direbbe che Lilibeth è tutt’altro che il “mostro” anaffettivo che ci hanno raccontato i tabloid inglesi negli ultimi sessant’anni. La serie, ideata da Peter Morgan (già sceneggiatore di The Queen, peraltro), racconta i primissimi anni di regno della figlia di Giorgio VI, chiamata guidare il Regno Unito quando non aveva neppure 26 anni, dopo la morte del balbuziente e amatissimo padre. Si parte, per essere precisi, dal fidanzamento e dal matrimonio con Filippo Mountbatten nel 1947, per arrivare, alla fine dei dieci episodi di questa prima stagione, alla metà degli anni Cinquanta, con le dimissioni di Winston Churchill da primo ministro.

Un racconto storico che è anche, e soprattutto, umano, che narra con dovizia di particolari e accuratezza gli eventi in un certo senso rivoluzionari che coinvolsero l’Inghilterra dopo la seconda guerra mondiale: la fine dell’Impero, la lunga crisi economica post-bellica, il ritorno al potere del vecchio Churchill, ma soprattutto le dinamiche complesse di una famiglia che deve fare i conti con un forzato ricambio generazionale.

Giorgio VI, salito al trono solo grazie alla clamorosa abdicazione del fratello Edoardo VIII nel 1936 pur di non rinunciare all’amore con la divorziata Wallis Simpson, lascia la monarchia più gloriosa del pianeta nelle mani di una ragazza poco più che venticinquenne, che di punto in bianco si trova a dover sopportare l’enorme peso di una corona pesante assai, in ogni senso, e che avrebbe potuto schiacciarla con facilità. Elisabetta, però, si dimostra sin da subito tenace, testarda, desiderosa di continuare la tradizione millenaria del trono di Inghilterra, a costo anche di inimicarsi familiari stretti, di incrinare rapporti un tempo idilliaci. Perché prima viene la Corona, prima viene l’Inghilterra.

Il merito di The Crown è innanzitutto quello di riuscire a narrare vicende storiche miscelandole sapientemente a episodi privati e familiari, a incomprensioni e litigi. La ragion di Stato e gli affetti si intrecciano alla perfezione (Filippo di Edimburgo è sicuramente il personaggio che ne esce peggio, anche agli occhi dello spettatore), aiutati anche da un ritmo perfetto e da un cast in vero e proprio stato di grazia. Claire Foy è una umanissima Elisabetta II, così come è bravissima Vanessa Kirby nei panni della passionale e sfortunata principessa Margaret (la sua storia d’amore con il Capitano Townsend è centrale in questa stagione). Ma il gigante vero è John Lithgow, l’attore americano noto soprattutto per i suoi ruoli brillanti e che invece tira fuori dalla tuba un monumentale Winston Churchill, frutto evidente di un lavoro attoriale enorme. Misurarsi con un gigante della storia come il primo ministro forse più noto della storia britannica deve essere stata impresa ardua, eppure Lithgow è riuscito a trasformarsi, a diventare Churchill, a offrire allo spettatore la grandezza evidente ma anche i difetti e i vezzi dell’uomo.

The Crown può contare anche su una messa in scena davvero regale, su costumi che replicano alla perfezione quelli originali indossati dai protagonisti all’epoca, su una megaproduzione che è fondamentale quando si vuole raccontare una storia del genere. Le nozze con i fichi secchi non si possono fare, e dalle parti di Netflix lo sanno bene. E soprattutto non si può e non si deve trasformare una grande vicenda storica in un feuilleton, in uno sceneggiato, in una sorta di telenovela di bassa qualità. Che praticamente è quello che hanno fatto con I Medici, un’occasione persa dalla tv italiana per entrare nel giro che conta della serialità televisiva globale. Ecco, produttori, sceneggiatori e regista de I Medici dovrebbero studiare a fondo The Crown (o anche la molto meno efficace Marco Polo, sempre di Netflix), per rendersi conto di come si dovrebbe affrontare la Storia in una serie tv. Perché si può fare eccome, se si è capaci.

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