L’uomo che per principio “non patteggia mai”, alla fine ha patteggiato. Perché l’alternativa sarebbe stata un’azione processuale lunga e potenzialmente distruttiva per l’immagine del magnate. Gli studenti che hanno aperto due diverse class dicono di essersi sentiti truffati dai corsi
Aveva promesso di combattere fino alla fine. Del resto, il suo soprannome è Donald “Never Settle” Trump, colui che non patteggia mai. In realtà, il presidente-eletto ha alla fine deciso di accordarsi con chi l’ha portato in tribunale per i corsi della Trump University e pagare 25 milioni di dollari agli oltre seimila studenti che si sono sentiti truffati. L’alternativa sarebbe stata un’azione processuale lunga e potenzialmente distruttiva per l’immagine del presidente-eletto.
“Donald Trump ci ha combattuto a ogni passo del processo – ha detto l’attorney general newyorkese Eric Schneiderman – presentando accuse senza fondamento e appelli infruttuosi e rifiutandosi di patteggiare persino per una cifra modesta con le vittime della sua università fasulla. Oggi cambia tutto. Oggi l’accordo di 25 milioni di dollari è un incredibile schiaffo per Donald Trump e un’importante vittoria per le oltre seimila vittime della sua università fraudolenta”. Trump, ha detto l’attorney general, dovrà anche pagare fino a un milione di dollari allo Stato di New York per avere violato le leggi che regolano gli standard delle istituzioni di insegnamento superiore.
Si conclude così una vicenda che da anni perseguita l’uomo d’affari, ora presidente. Trump, in base all’accordo, non dovrà ammettere alcuna colpa, ma l’accordo stesso è la prova di come la causa stesse trasformandosi in un serio imbarazzo. Gli studenti che hanno aperto due diverse class action in California (a New York la causa era condotta proprio dall’attorney general), dicono di essersi sentiti truffati dai corsi che promettevano di trasmettere i “segreti” degli investimenti immobiliari di Trump, attraverso degli insegnanti da lui “personalmente selezionati”. Lo schema, come risulta dai documenti esibiti durante il processo e dalle testimonianze ascoltate, funzionava sostanzialmente così. Trump University, che ha funzionato dal 2004 al 2010, offriva seminari gratuiti sulle tecniche di investimento immobiliare. Gli studenti erano però poi invitati a comprare altri corsi dell’università, per un costo che poteva arrivare ai 35 mila dollari per il programma “Golden Elite”.
Un venditore dei corsi, chiamato a testimoniare, ha definito l’intera operazione “una cosa di facciata, una menzogna totale”. Un altro manager dell’istituzione ha parlato di “uno schema fraudolento”. In realtà, lo stesso Trump ha in seguito ammesso di aver avuto scarsa conoscenza di quanto avveniva e “di non avere personalmente scelto gli insegnanti”. Trump ha però sempre rivendicato la qualità dell’istruzione offerta, arrivando a lanciare un sito, www.98percentapproval.com, per raccontare la “verità” sulla Trump University e mostrare il gradimento degli studenti. In realtà, sembra che su molti di questi siano state esercitate forti pressioni per dare giudizi positivi. Va ricordato che la Trump University, un’istituzione for-profit fondata dal magnate insieme ad altri uomini d’affari, non era accreditata come college o università e non conferiva voti o titoli di studio riconosciuti. Chiuse nel 2010, travolta dai troppi scandali e denunce.
Nel mezzo della campagna per le primarie, lo scorso febbraio, Trump aveva rivendicato la scelta di non arrivare a un patteggiamento “per ragioni di principio”. L’allora candidato aveva anche definito il giudice Gonzalo Curiel, che presideva sul caso, “un odiatore, una totale disgrazia… pieno di pregiudizi”. Trump aveva attribuito la presunta persecuzione di cui era oggetto al fatto che “il giudice Curiel è, noi crediamo, messicano”. Era, quello, il momento più caldo delle polemiche sulla proposta di alzare un muro con il Messico; Trump sosteneva che attraverso il confine arrivavano “commercianti di droga, stupratori, delinquenti”. Il giudice Curiel è un cittadino statunitense nato in Indiana, con origini messicane. Senza scomporsi per le accuse, aveva portato avanti il processo, fino alla settimana scorsa, quando in un’udienza ha reiterato la richiesta di ascoltare la testimonianza di Trump, il 28 novembre, “anche attraverso un video, se il neo-presidente è troppo impegnato” (come sostenevano i suoi avvocati).
Alla fine deve aver prevalso l’idea che andare avanti col processo non sarebbe stato soltanto un problema di tempistica, ma anche di credibilità per il nuovo presidente. E quindi l’uomo che per principio “non patteggia mai”, alla fine ha patteggiato. In una dichiarazione, i suoi legali hanno affermato che “non ci sono dubbi che alla fine Trump University avrebbe prevalso nel merito di questo caso; la cui risoluzione permette comunque al presidente-eletto Trump di devolvere la sua attenzione alle importanti questioni che il nostro grande Paese si trova ad affrontare”.