La notizia era attesa per i primi giorni di dicembre, ma dalla Germania si è deciso di sciogliere le riserve con un certo anticipo: Angela Merkel ha annunciato l’intenzione di candidarsi per guidare il Paese per il quarto mandato consecutivo. Un elemento interessante da rilevare è che, con molta probabilità, la Cancelliera potrebbe trovarsi non solo alla guida della prima economia dell’Eurozona, ma anche a quella dell’intero fronte Occidentale (con la O maiuscola) contro i populismi.
Angela Merkel ha salutato la vittoria di Trump con una dichiarazione piuttosto diplomatica, ma pur sempre inequivocabile: “La Germania e gli Stati Uniti sono uniti da valori comuni – democrazia, libertà, come anche il rispetto del diritto e della dignità di ogni individuo, a prescindere da origine, colore della pelle, credo, genere, orientamento sessuale e opinioni politiche”. La cooperazione tra Merkel e Trump “dovrà essere fondata su questi presupposti”. Una sorta di “patti chiari, amicizia lunga” in carta regalo dorata, confezionato con cura e dedizione.
Come già avvenuto nei giorni scorsi, molti osservatori tra Bruxelles e l’altra sponda dell’Atlantico stanno volgendo lo sguardo a Berlino. La prospettiva è che Angela Merkel si faccia non solo carico del compito di continuare a condurre il suo Paese, ma che abbracci anche l’idea di poter portare la propria leadership ad un livello più alto – forse addirittura superando quello dell’Unione Europea. Potrebbe essere lei l’ultimo baluardo di difesa per le democrazie liberali occidentali dall’assalto impetuoso di populismi ad ogni livello e latitudine?
Lo scenario, considerato in quest’ottica, presenta sia punti a favore che a sfavore della Cancelliera: se da un lato è vero che Angela Merkel gode di una stima internazionale e una leadership consolidate, allo stesso tempo sono il suo nome e la sua persona a rappresentare una sorta di simbolo per le destre nazional-populiste per guadagnare consensi e mantenere vivo l’appeal per la lotta contro il nemico tedesco (anche in casa, dove AfD – Alternative für Deutschland comincia a rappresentare un fenomeno di cui preoccuparsi). E volendo per un momento dare uno sguardo d’insieme alla situazione, l’egemonia dal punto di vista militare degli Stati Uniti resta assolutamente non in discussione – e così sarà probabilmente anche per i prossimi dieci o quindici anni.
L’idea che Angela Merkel possa effettivamente essere l’ultimo difensore dell’Occidente liberale, argine contro Trump, Putin, Le Pen e nazionalisti vari ed eventuali, sembra avere un passaggio obbligato: il rafforzamento di una leadership che sia europea (e non “tedesca, ma a livello europeo”) e che vada nella direzione della creazione di un’unione politica vera, compito troppe volte rimandato dai governi nazionali che compongono l’Ue, incluso quello tedesco. La creazione di un concerto comune, oggi, sembra però non poter prescindere da un ripensamento delle politiche di austerity che hanno contribuito ad alienare i Paesi del Sud d’Europa da buona parte del resto del continente e un discorso serio sulla possibilità di creare una strategia comune di difesa, ora più che mai prima d’ora cruciale negli ultimi 25 anni.
La vittoria di Trump, nonostante abbia generato un movimento di autofustigazione di massa nei giorni immediatamente successivi all’ufficializzazione del risultato, rappresenta insieme uno schiaffo e un’opportunità per l’Europa. Con Obama fuori dai giochi e Hollande vittima di un’impopolarità cronica che ne ha visto progressivamente scendere le quotazioni da più di due anni ad oggi, Berlino (attraverso Bruxelles) potrebbe effettivamente aspirare a diventare uno dei nuovi poli gravitazionali d’influenza nel nuovo ordine mondiale post-Obama. Angela Merkel però, se sola, potrebbe comunque rischiare di non farcela.