Giovanni, Daniele e Alessandro sono partiti per raccogliere fondi, aiutati da piccoli sponsor locali e soprattutto dai loro risparmi. E negli anni sono riusciti anche a finanziare la realizzazione di una scuola per 250 bambini a Bamako, in Mali. "Quando siamo lontani l'Italia ci manca tantissimo"
“L’idea è che si può arrivare più lontano su una vecchia utilitaria che su un Suv nuovo, perché è più facile trovare un rapporto con le persone, incontrarsi, conoscersi”. Giovanni Veronelli ha 38 anni e nella vita fa il ristoratore; Daniele Veronelli, 40 anni, è un informatico; Alessandro Cini, 38 anni, è artigiano e restauratore. Tutti sono di Pavia e, insieme, hanno deciso di lanciarsi nella pazza idea di fare il giro del mondo a bordo della loro vecchia Fiat Uno del 1987. Raccogliendo fondi per beneficenza. “Con questi viaggi si possono fare grandi cose”, raccontano dalla Mongolia.
Tutto è nato una sera di tre anni fa, riguardando le vecchie fotografie del Mongol Rally, il charity rally corso nell’estate del 2007 in terra asiatica. Da tempo i tre amici partecipano a numerose gare di solidarietà a bordo dei propri bolidi, con la squadra ribattezzata Team 241. “Insomma, ci mancava l’idea di viaggiare. Volevamo avere un obiettivo ambizioso – raccontano i ragazzi – Da lì siamo andati alla ricerca dell’auto, l’abbiamo trovata da un concessionario della provincia di Como e abbiamo iniziato a fare i test”.
Ad aiutare il team nel percorso ci pensano piccoli sponsor locali, che hanno versato una parte dei finanziamenti. “Ma la maggior parte dei soldi viene dalle nostre tasche – spiegano i tre amici – Per questo siamo costretti a strutturare il viaggio in tappe”. Alessandro è artigiano e restauratore: da più di dieci anni gestisce una piccola azienda con dipendenti. Daniele, soprannominato l’ammiraglio, è un tecnico informatico appassionato di motori e kart. Giovanni, invece, è un ristoratore. “Diciamo che amici, mogli e fidanzate si sono rassegnate al nostro bisogno fisiologico di viaggiare, e ci sopportano con grande pazienza”, sorridono in gruppo.
Il rapporto con l’Italia per i ragazzi del Team 241 è di amore e odio. “Come molte persone che lavorano in proprio, anche noi fatichiamo a portare a casa i frutti dei nostri sforzi a causa di burocrazia, lentezza e inefficienza del nostro Paese – spiega Alessandro – Quando siamo lontani, però, la nostra terra ci manca moltissimo”. Fare questi viaggi è una specie di droga. “Inizi e sai già che non riuscirai più a fermarti – aggiunge Daniele –. Ogni sfida è sempre più impegnativa della precedente”. E non mancano momenti emozionati lungo il percorso: “Come quando ci siamo fermati nella steppa mongola a bere un caffè. Intorno solo il deserto”, racconta Alessandro.