L’Oxford English Dictionary ha eletto parola dell’anno “Post-Truth”, post-verità, definendola come segue: “relativa a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle credenze personali”. La scelta è stata ovviamente influenzata dalle recenti vittorie elettorali del Brexit in Inghilterra e di Donald Trump negli Stati Uniti, esempi di risultati influenzati dalla circolazione di falsa informazione e da una totale assenza da parte degli elettori di “fact-checking” ossia di verifica della veridicità delle informazioni. I giornali del mondo intero si sono affrettati a riportare la notizia annunciando l’ingresso della politica nell’era della post-verità Bene. Ma è una novità? Davvero scopriamo oggi tutto d’un colpo di essere entrati nell’era della post-verità ? E qual è stata l’era politica della verità, se posso permettermi? 

Mi ricordo da bambina che il prete della parrocchia vicino alla casa di campagna di mia nonna faceva propaganda anti-comunista dicendo nella predica che i comunisti lanciavano le vipere con gli elicotteri sui campi dei contadini per infestarli di serpenti… Io e mia sorella eravamo terrorizzate ad andare a giocare nel prato pensando a tutti quei serpenti infernali lanciati dal P.C.I…. Negli stessi anni Fanfani andava in giro per l’Italia a fare propaganda contro il referendum sul divorzio pronunciando un famoso discorso in cui dipinse i divorzisti come pervertiti che “approvano le passioni, la libidine, gli istinti animaleschi degradanti la dignità umana” e in un comizio mise in guardia gli astanti sul futuro dell’Italia divorzista in cui gli uomini “avrebbero visto le loro mogli andarsene di casa con le mogli dei loro amici”. L’Unione Sovietica alla stessa epoca predicava teorie genetiche deliranti anti-darwiniste, promulgate dallo scienziato agronomo Lysenko che era un fermo sostenitore dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti.

Nel 2003 un’intera coalizione di stati occidentali, Italia compresa, andò in guerra per smantellare l’arsenale inesistente di armi di distruzione di massa di Saddam Hussein contro ogni evidenza presentata dagli esperti come Hans Blix, lo svedese capo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, che aveva scritto un rapporto a chiare lettere sostenendo di non aver trovato nessun’arma di questo tipo nelle sue ripetute ispezioni…

Dunque, per tornare ai fatti: qual è l’età dell’oro in cui la politica era il dominio della verità? Per quanto riguarda gli esperti della questione, ossia i filosofi che si occupano di epistemologia, quella branca della filosofia che ha a che fare con la questione di come distinguere il vero dal falso, il problema non sembra per nulla nuovo.

Da Aristotele, a Platone, a Tucidide, tutto il pensiero antico si lamenta dei rischi delle false informazioni nell’influenzare l’opinione della gente. Il secondo libro della Retorica di Aristotele, che immagino più nessuno legga a scuola perché obsoleto, polveroso pezzo di cultura non fattuale, il filosofo di Stagira presenta un vero e proprio trattato delle passioni che un politico deve essere in grado di manipolare con il discorso per influenzare la sua audience. Il fatto che la politica fosse il dominio delle emozioni, delle passioni civiche, dei valori, e non della verità lo sapevano già gli antichi dunque. 

Ma allora che cos’è la verità? A chi interessa? La verità per lungo tempo è stato un attributo di un sapere da iniziati, ed è grazie al pensiero di Platone ed Aristotele, contro i sofisti, che la verità diventa un concetto pubblico, una specie di punto di incontro oggettivo tra linguaggio, pensiero e mondo. Ciò che penso, perché abbia valore devo essere capace di dirlo, ma ciò che dico è vero solo se corrisponde ai fatti del mondo. E’ con questo concetto più o meno corrispondentista di verità che la filosofia e la scienza sono andate avanti per più di duemila anni, con tante diverse articolazioni. Poi, alla fine del XIX secolo, ci viene detto da Friedrich Nietzsche che la verità non esiste ed è solo uno strumento del potere. Il disvelamento delle relazioni di potere nel concetto di verità diventa alla moda in gran parte della filosofia continentale del XX secolo. Michel Foucault raffinerà questa posizione in uno splendido testo: L’ordine del discorso, in cui mostra che la verità non è che la legittimazione di certi enunciati da parte di una casta di potenti, sapienti o esperti

Il delicato problema di quali siano i criteri di discriminazione tra vero e falso che il normale cittadino può padroneggiare quando legge un giornale, si informa sui social network o chiacchiera al bar con gli amici è uno degli argomenti di ricerca più scottanti oggi in epistemologia, psicologia sociale, scienze cognitive etc etc. 

Si sa che la gente non controlla l’informazione che legge non perché è scema o credulona, ma per una questione di economia cognitiva: ossia “paga” di più in termini cognitivi seguire la cascata informazionale e credere a qualcosa perché ci credono tutti o seguire quel che dice un leader di cui ci fidiamo. Si sa anche che le false informazioni su Facebook, ora considerate assurdamente responsabili della vittoria di Trump (perché, altra tendenza cognitiva ben nota, bisogna pur trovare un responsabile) si diffondono rapidamente e sono smentite altrettanto rapidamente. Facebook non è responsabile della vittoria di Trump, questa è un’altra post-verità che può essere rassicurante far circolare ma che non corrisponde alle leggi (ben studiate) di come l’informazione circola. L’informazione circola per ragioni che hanno poco a che fare con la verità, ma con la pertinenza dei contenuti che sono trasmessi, ossia con il loro potenziale successo comunicativo. In questo senso è normale che un’informazione sorprendente circoli di più: è il vecchio principio che un cane che morde un uomo non fa notizia mentre un uomo che morde un cane fa notizia.

La verità non è lì davanti a noi e ci possiamo inciampare dentro: la verità è il frutto di complicate procedure di legittimazione dei fatti. Credo sia vero ciò che le persone che hanno autorità per me dicono che è vero. Allora è importante che il mio modo di riconoscere le autorità sia sano, non che io sappia discriminare tra verità e falsità. In un mondo ad alta densità d’informazione paradossalmente la nostra dipendenza dagli altri per filtrare il sapere è ancora più grande. Dobbiamo imparare a capire quali sono i segnali legittimi per dare autorità a qualcuno e quali quelli illegittimi. Questo lo possiamo fare. Ma che la politica non userà mai la verità come suo alleato, anche di questo possiamo esserne certi.

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