Il quotidiano britannico si spinge a evocare "una minaccia di disintegrazione per l’Europa" e la fine della moneta unica. Più ottimisti New York Times, Bloomberg e Wall Street Journal. Ma Credit Suisse resta convinta che "non ci saranno conseguenze di sistema". E per la banca d'affari Usa a trovarsi in difficoltà saranno soprattutto gli istituti che devono ricapitalizzarsi
“L’esito del referendum potrebbe accelerare il cammino dell’Italia fuori dall’euro. E sarebbe di riflesso una minaccia di disintegrazione per l’Europa”. E ancora “sarebbe il più grande default della storia”. A sostenerlo è un editoriale apparso sul Financial Times, a firma del condirettore Wolfgang Munchau, che disegna scenari catastrofici per l’Europa in caso di vittoria del “no” al referendum italiano del prossimo 4 dicembre. Cupissimi, a suo dire, “saldamente ancorati a una scala ottimistica di aspettative negative”. Una posizione assai più netta rispetto ad altri grandi giornali finanziari internazionali, come il Wall Street Journal o New York Times. Anche Bloomberg e Credit Suisse hanno recentemente indicato come scenario probabile un impatto a livello nazionale ma nessuna conseguenza per la stabilità della zona euro. Quanto a Goldman Sachs, nel suo outlook sull’Europa diffuso lunedì la banca d’affari scrive che se vincerà il No ne faranno le spese soprattutto le banche italiane più deboli che hanno necessità di una ricapitalizzazione e il premier Matteo Renzi. Infatti “è probabile che in seguito al rifiuto della riforma una grande coalizione cercherebbe di cavarsela alla meno peggio”. E Renzi “difficilmente ne farà parte, a meno che non riesca a separare la sua carriera politica dall’esito elettorale”.
Diverse e infauste le previsioni del Ft. Il ragionamento parte dalla constatazione che il merito della riforma su cui si vota nulla c’entra col destino che determinerà. Quello che davvero conta, scrive l’editorialista, è che la performance dell’Italia da quando ha adottato la moneta unica è stata negativa: dal 1999 lavoro e capitale sono rimasti al palo, crescendo di cinque punti mentre altrove, in Germania o Francia, sono aumentati del doppio.
La seconda ragione che lega esito referendario ed Europa è il fatto che mentre l’Italia non cresceva, la Ue poco o nulla faceva davvero per attrezzarsi come unione economica e bancaria per affrontare la crisi dell’eurozona del 2010-2012, optando sull’austerità a senso unico. “Se volete sapere perché Angela Merkel non può essere indicata come leader del mondo libero, non cercate oltre. Il cancelliere tedesco non riusciva a guidare l’Europa neppure quando contava”.
Ed è la combinazione di questi due fattori, secondo l’analista del Ft, ad aver messo le ali al populismo e a rendere ora esplosivo l’appuntamento italiano. Munchau si addentra in considerazioni sui riflessi interni al Belpaese dopo il 5 dicembre, in caso di vittoria del “no”. “Il più grande e importante partito è il Movimento Cinque Stelle, che sfida la consueta classificazione destra-sinistra”. Il secondo è Forza Italia che ha sviluppato rabbiosamente la sua ostilità all’euro dopo le dimissioni di Berlusconi dovute anche alla pressione delle istituzioni e dei mercati. Anche se in realtà, e questo l’editoriale non lo dice, il partito di Berlusconi ha esibito sempre un antieuropeismo di facciata. “Il terzo è il separatista della Lega Nord”. Munchau conclude, forse semplificando un po’ troppo, che “Nei paesi democratici è comune che i partiti di opposizione alla fine arrivino al potere. E ci si aspetta che accada in Italia”.
In ogni caso il referendum è l’appuntamento col destino non solo per Renzi e l’Italia ma per tutta la comunità europea. “Il referendum potrebbe accelerare il cammino verso l’uscita di euro. Se il signor Renzi perde, visto che ha detto si sarebbe dimesso, ne conseguirà il caos politico. Gli investitori potrebbero staccare la spina. Il 5 dicembre, l’Europa potrebbe essere risvegliata da una minaccia immediata di disintegrazione”.
Ma la spallata potrebbe arrivare anche da Parigi e da una Frexit. “In Francia, la probabilità di una vittoria alle elezioni presidenziali di Marine Le Pen non è più un rischio remoto e ha promesso di tenere un referendum sul futuro della Francia in Europa. Se quel referendum dovesse portare a Frexit, l’UE sarebbe finito il mattino successivo. Così sarebbe la fine dell’euro”.
Come evitarlo? L’opinionista del Ft mette in fila le mosse per scongiurare il crollo, opzione teoricamente ancora percorribile. La Merkel, scrive Munchau, dovrebbe accettare quella road verso l’unione fiscale e politica che ha rifiutato nel 2012 mente la Ue dovrebbe rafforzare il meccanismo di stabilità, allargare l’ombrello di salvataggio, che “non è progettato per gestire paesi delle dimensioni di Italia o Francia”.
E la Merkel? “Se le chiedeste di comprare obbligazioni della zona euro vi risponderebbe di no, ma se dovesse scegliere tra eurobond e l’uscita dall’euro la sua risposta potrebbe essere diversa”. E questa dipenderà anche dal fatto che in Germania l’anno prossimo si vota. Quindi le aspettative dell’analista. “Non un crollo della UE e dell’euro, ma una partenza di uno o più paesi, forse l’Italia, più che la Francia. Alla luce dei recenti avvenimenti, il mio scenario di base è ormai saldamente sulla scala ottimistica delle aspettative ragionevoli”.