Un attacco duro, diretto. Sulle firme false M5s a Palermo, ma anche sui presunti motivi che spingerebbero i grillini a battersi per evitare la riforma del Senato. Nel consueto appuntamento su Facebook con la diretta #Matteorisponde, il presidente del Consiglio ha deciso di rispondere alle accuse attaccando. Nel mirino il Movimento 5 stelle e il leader Beppe Grillo. “Non cascateci: Grillo, che è uno straordinario professionista della comunicazione, dice che noi siamo i serial killer e tutti rispondono ma così nessuno parla più delle firme false. E’ una tecnica – ha spiegato Renzi – , Grillo e i 5 stelle in queste ore sono in difficoltà perché è emerso il reato delle firme false, pare non solo a Palermo. Siccome sotto il profilo comunicativo sono all’angolo, Grillo inventa una frase a effetto cosicché tutti cadano nel tranello e improvvisamente si nasconde la realtà”.
Una realtà che a sentire Renzi nasconde motivi molto poco politici dietro l’impegno grillino per il No al referendum del 4 dicembre. “Contro di noi Grillo inventa delle falsità. Invece sapete cosa è vero? Il denaro che i 5 stelle prendono dal Senato – è l’accusa del premier – che va a pagare gli affitti dei dipendenti dell’ufficio comunicazione dei 5 stelle. I fondi del Senato non sono solo gli stipendi dei senatori e i loro staff – ha aggiunto – c’è anche un rimborso per i gruppi. Il M5s li usa per pagare gli affitti, questa è una affittopoli”. Il riferimento è a un servizio dell’Espresso, che “non smentito, ha scritto che con i rimborsi del Senato pagano la casa a Rocco Casalino. Io ero più per Taricone, ma Casalino è passato dalla casa del Grande fratello alla casa del Grande Senato”. La storia non è nuova. Era il marzo 2015 quando il giornale allora diretto da Vicinanza pubblicò online un articolo che ricostruiva come i 5 Stelle avessero speso 160 mila euro per gli appartamenti dello staff comunicazione, 40mila dei quali per il solo alloggio di Rocco Casalino. Il tutto nonostante la normativa a sentire l’Espresso prevedesse che quei soldi fossero usati per “scopi istituzionali“. All’epoca il Movimento 5 stelle diramò una nota ufficiale per rispondere alle accuse. “Il contributo erogato dal gruppo parlamentare del M5s per gli appartamenti dei dipendenti della Comunicazione è un beneficio accessorio previsto dal contratto di lavoro del singolo dipendente e con oneri fiscali a suo carico” si leggeva nella nota, in cui era spiegato che “ogni mese il gruppo parlamentare mette a disposizione per l’Ufficio Comunicazione in media un importo di 1000 euro a persona per l’affitto degli appartamenti in uso solo ai dipendenti non residenti a Roma”. Non solo. Secondo il comunicato dei grillini “l’Art.16, comma 2, del Regolamento del Senato prevede che i contributi a carico del bilancio del Senato complessivamente erogati in favore dei gruppi parlamentari siano destinati anche alle spese ‘per il funzionamento dei loro organi e delle loro strutture, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici del personale’, che includono appunto anche il beneficio accessorio”.
Le accuse al Movimento, tuttavia, sono anche personali, come quelle ad Alessandro Di Battista, che “in tre anni e mezzo di Parlamento ha preso uno stipendio in media di 10mila euro al mese, il doppio di quanto prendo io. Vogliono dimezzare gli stipendi? Bene, ma ce lo raccontate o no dove vanno i soldi del Senato?” ha sottolineato il leader del Pd, che poi è tornato sulle firme false del M5s alle comunali 2012 di Palermo paragonandole ad altre firme, quelle che serviranno per i referendum qualora vincesse il Sì. “Con la riforma diminuiscono le firme per il referendum, ma c’è una brutta notizia per il M5S: devono essere vere” ha scritto l’ex sindaco di Firenze.
Successivamente Renzi è tornato a parlare di referendum, sottolineando che “se vince il No la classe politica che verrà dirà: ‘c’è un voto popolare che ci impedisce di superare il bicameralismo’; useranno il referendum come alibi per non fare riforme – ha attaccato Renzi – Ve lo dico col cuore in mano: votate pure per M5s, per la Lega; se vi sto antipatico, va bene. Ma al referendum votate per i vostri figli, perché l’occasione non ricapita”. Lo slogan non è nuovo, come non è nuovo quello per cui il referendum è “fondamentale per cambiare l’Italia: se non cambia vi tenete questa disastrosa coalizione – perché non si può dire accozzaglia – di persone che non la pensano allo stesso modo quasi su niente ma hanno il desiderio di esprimere il loro No e poi dicono che la riforma è pasticciata. Pasticciata? Ma de che… il vero pasticcio rischiano di farlo loro il giorno dopo”. Non poteva mancare l’ennesimo pensiero ai leader del fronte del No, che “sono quelli che le tasse le hanno alzate, qualcuno vota No perché io le tasse le ho abbassate“.
Non è sfuggito che durante la diretta alle spalle di Renzi facesse bella mostra la bandiera dell’Unione europea, fatta sparire per protesta (ma Renzi all’epoca parlò di sentimento patriottico) in un precedente incontro. “La bandiera c’è e lotta insieme a noi” ha risposto il premier a chi aveva notato il ritorno. La presenza del drappo, però, è stata direttamente proporzionale alle critiche verso Bruxelles, innanzitutto sul tema dell’immigrazione. Sul fronte interno, invece, il punto è sempre il futuro del premier in caso di vittoria del No: “Io ho 41 anni, tutte le mattine mi sveglio in questo palazzo e dico grazie. Ma sto qui se posso cambiare le cose. Non sto qui aggrappato al mantenimento di una carriera. Non ho niente da aggiungere al curriculum vitae” ha ripetuto Renzi. Che poi ha precisato il concetto: “Non sarò della partita nel caso in cui le cose vadano male, dico No agli inciuci”.