Torno al mio tema preferito per la gioia dei frequentatori di questa pagina. Molti dei quali, come già si è sperimentato qui, sono appassionati esegeti della grandezza, insostituibilità, eccezionalità degli Stati Uniti d’America e del modello che hanno proposto — e imposto — al mondo intero (o, per meglio dire, a quella parte di mondo che è stata oggetto delle intenzioni e interessi imperiali).
Il fatto è che, secondo alcune fonti, il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sembra abbia espresso nel corso della campagna elettorale alcuni dubbi circa la versione ufficiale degli eventi dell’11 settembre 2001. Qui ci sono alcuni link riguardanti queste citazioni, tratti da Maine Republic Email Alert, Iwb e Blondet & Friends. Li fornisco affinché i lettori possano farsi un’idea propria dello stadio della discussione negli Usa attorno al problema.
Va detto che una delle fonti che io considero più attendibili, Paul Craig Roberts, sul suo blog ha commentato con molta prudenza queste fonti, limitandosi a dire che, in caso fossero reali le intenzioni di Trump di riaprire l’inchiesta, difficilmente resterebbe vivo fino al momento del suo insediamento.
Nei giorni successivi, fino a oggi, l’accesa ridda di voci riguardanti la “squadra presidenziale” in fieri del nuovo presidente indurrebbe a ridimensionare — se non a escludere totalmente — questo “pericolo”. La comparsa, nelle rose dei candidati ai diversi posti di potere della nuova Amministrazione, di personaggi come Rudolph Giuliani (ex sindaco di New York all’epoca) o come John Bolton (superfalco neocon e ex rappresentante all’Onu) o come Mike Pompeo alla testa della Cia (uno che ha comunicato al mondo, via Twitter, la sua impazienza di cancellare il negoziato con l’Iran), tutto questo fa pensare che l’11 settembre resterà nei cassetti delle rivelazioni future ancora per qualche tempo.
Il che non significa che tutto sia immobile. A suffragare questa tesi è intervenuta l’esternazione televisiva — in simultanea con la vittoria di Trump — di uno dei suoi più fervidi sostenitori, Steve Pieczenik. Qui il suo discorso epocale. Parole che non possono essere ignorate per molte ragioni. In primo luogo per la storia personale e professionale del personaggio. Che è stato un fedele e abile servitore dello Stato Imperiale per molti anni e su scenari assolutamente decisivi per la politica statunitense. Il nostro uomo è stato al servizio di diversi presidenti, come agente dei servizi segreti, come diplomatico, come influencer di alto profilo.
Basterebbe ricordare che venne inviato da Washington in Italia per “assistere” l’allora ministro degl’Interni Francesco Cossiga, poi divenuto Presidente della Repubblica, nel non facile compito di gestire il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro. In qualche intervista Pieczenik, anni fa, non fece mistero del suo compito di allora: liquidare definitivamente Aldo Moro. E alcune allusioni che egli stesso fece filtrare condussero molti, tra cui il sottoscritto, a ritenere che fosse proprio lui uno dei manovratori delle Brigate Rosse, dei servizi italiani “deviati”, e dei depistaggi che impedirono agli inquirenti italiani di giungere al carcere segreto dove Moro era rinchiuso prima che fosse ucciso.
Insomma un Pieczenik come esecutore finale dell’operazione il cui scopo era di impedire l’accesso del partito comunista al governo del paese. Adesso è in pensione, fuori servizio. Ma fino a un certo punto. In piena campagna elettorale americana se ne uscì parlando come se fosse parte del “contro-colpo di Stato” dell’Fbi contro (perdonate la reiterazione) il “colpo di Stato” della Clinton. Dunque assai attivo. È indubbio che è “persona informata” e con accesso a fonti di prima mano. E se oggi dice — e promette — “non più false flag”, “non più 11 settembre”, “non più finte uccisioni di Osama bin Laden” si ha ragione di ritenere che nei meandri della lotta politica feroce che dilania l’establishment americano, questa questione si sta muovendo.
Resta da capire perché parla ora. Certo, con il contagocce, ma parla, allude. Succede a molti di questi alti esecutori, di parlare quando vanno in pensione. Di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Magari si rendono conto, in prossimità della fine, delle mostruosità che hanno contribuito a compiere. Oppure vogliono vendicarsi per i torti subiti da chi stava sopra di loro e li ha usati. Magari senza neppure premiarli per il lavoro svolto. Oppure, semplicemente, vogliono rendersi utili e rimediare, per quanto possibile, in ritardo, alle loro malefatte. In cerca, almeno, del Purgatorio.
In ogni caso ben vengano le rivelazioni, anche postume. Dunque sarà bene studiare con la massima attenzione quello che dice. Potrebbe venire utile anche a coloro che, qui da noi, si sono messi, in tutti questi anni, al servizio della menzogna e hanno cercato, in tutti i modi, di attaccare, ridicolizzare, emarginare, insultare coloro che la verità la videro, o la intuirono, o comunque la cercarono. Qui c’è uno spiraglio per vedere meglio l’interno della “casa americana”. Molto diversa da come ce l’hanno dipinta. Quando si spalancherà la porta saranno in molti a doversi nascondere.