Alla notizia è stata messa la sordina. Ma nelle scorse settimane il governo Renzi ha dato il via libera, con un decreto ministeriale ad hoc, alla realizzazione di otto nuovi inceneritori. Che sorgeranno in una serie di regioni del Centro e Sud Italia. Avranno il compito di bruciare 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e assimilabili che si aggiungeranno alle circa 6 milioni di tonnellate attualmente incenerite nei 40 impianti in esercizio. Altre 665mila tonnellate aggiuntive verranno invece bruciate autorizzando la capacità potenziale di trattamento di impianti non ancora in esercizio: due sono in Lazio, uno in Calabria, uno in Puglia e uno in Toscana.
Sono questi, in sintesi, i termini attuativi del famoso articolo 35 dello Sblocca Italia, che hanno trovato una sostanziale convergenza da parte delle Regioni. Viene quindi confermata la scelta sottesa all’articolo 35 dello Sblocca Italia: i termovalorizzatori assurgono definitivamente a soluzione indispensabile per il trattamento dei rifiuti urbani. Ma nella partita sugli inceneritori, se risultano sconfitti gli ambientalisti, esce a braccia levate al cielo la potente lobby delle multiutilities.
Perché il decreto del governo Renzi individua, per tutti gli impianti in esercizio, il tonnellaggio di rifiuti trattabile, che è nettamente superiore a quello attualmente incenerito. Una misura, questa, che permetterà a impianti sottoutilizzati e sull’orlo del fallimento come quello di Parma di risanare i bilanci. Generando cospicui profitti aggiuntivi.
Un esempio può meglio spiegare il tema. L’inceneritore di Torino, ultimo arrivato tra i grandi impianti, ha un piano economico-finanziario fondato su una capacità di incenerimento pari a 360mila tonnellate che producono ricavi pari a 95 milioni di euro all’anno. Il decreto del governo Renzi consentirà a Torino di bruciare fino a 526.500 tonnellate all’anno di rifiuti, il 46,3% in più di quelli attualmente trattati. Con il risultato che il ritorno su un investimento, come quello della messa in opera del termovalorizzatore più grande d’Italia e costato 430 milioni di euro, verrà nettamente accelerato.
La mossa di Renzi è poi la via individuata dall’esecutivo per evitare che una mole impressionante di sanzioni si abbatta sui fragili conti italiani a causa dei numerosi contenziosi in essere con l’Unione europea sulla gestione dei rifiuti. A indicare i principali casi è un dossier della Camera che accompagna lo Sblocca Italia. Una procedura di infrazione, che risale al 2012, riguarda la discarica di Malagrotta e altre discariche laziali: la Commissione europea ritiene che i rifiuti stoccati presso le discariche del Lazio non subiscano il trattamento prescritto dalla normativa europea, non essendo sufficiente la frantumazione e lo sminuzzamento prima dell’interramento, come avviene.
Poi c’è l’annoso capitolo della gestione dei rifiuti in Campania.
Dal 2010 la Corte di Giustizia imputa all’Italia la colpa di aver violato gli obblighi comunitari di corretta gestione dei rifiuti, in particolare per la mancanza di una rete integrata di gestione dei rifiuti nella regione. La Commissione europea ha poi più volte contestato i gravi ritardi che hanno portato all’arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche.
E ha chiesto alla Corte di giustizia di condannare l’Italia al versamento di sanzioni pecuniarie consistenti in una somma forfettaria di 28.089,6 euro al giorno (quantificabile su base annua in circa 10.252.704 euro) per il periodo intercorso tra la prima e la seconda sentenza e in una penalità di mora di 256.819,20 euro al giorno (vale a dire 85.606,4 euro al giorno per ogni categoria di installazione) dovuta dal giorno in cui verrà pronunciata la seconda sentenza fino al completo adempimento (quantificabile su base annua in circa 93.739.008 euro).
Sempre la Commissione considera irregolari 46 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro il 16 luglio 2009, in base alla normativa europea, si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura qualora detto piano fosse risultato inadeguato: le regioni interessate sono l’Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), la Puglia (5 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi).
Anche in questo caso, l’Italia rischia di pagare centinaia di milioni di multe. Che ora potranno verosimilmente essere almeno sospese di fronte alla prospettiva della realizzazione degli otto nuovi inceneritori. Impianti che, se dovesse prevalere il Sì al referendum con il conseguente “riordino” delle competenze regionali, potrebbero non essere gli ultimi di una serie decisa direttamente dallo Stato centrale.