Il terremoto è sparito dalle prime pagine dei giornali. Inchieste, interviste, alcune settimane d’attenzione, poi qualche notizia nella cronaca, infine il silenzio. Fino al prossimo sisma. E’ sempre così. Non cambia niente nell’informazione, nella prevenzione, nell’attenzione della politica, nella costruzione d’edifici pubblici e privati: l’ultimo terremoto è appena finito e il prossimo è alle porte – vista l’infausta frequenza – e noi siamo sempre “sorpresi”, immemori, impreparati: accadrà ancora ed è già cronaca di una tragedia annunciata.
Tra i giovani, per fortuna, la sensibilità è più alta. L’ho notato nell’ambito degli “Incontri di scienza”, al Liceo Scientifico “Vailati” di Genzano. I ragazzi del quinto anno, nelle ore pomeridiane e senza obbligo di frequenza, hanno riempito l’aula magna: erano tutti lì – attenti e silenziosi – ad ascoltare la relazione di Gianluca Valensise, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Tema: Terremoti e pericolosità sismica nell’Italia centrale e meridionale. Una relazione precisa. Tecnica. E tuttavia esposta con l’accortezza didattica di chi – parlando ai giovani – si preoccupa di far arrivare il messaggio senza eccessive pedanterie.
Il Nostro apre il ragionamento con una domanda: “Cos’è un terremoto e perché avviene?”. Sullo schermo appaiono foto di faglie antiche e recenti. Si ragiona di onde di volume (veloci e distruttive) e onde di superficie, di cause geodinamiche, della tettonica a placche. Qualche alunno prende appunti. Le prof che hanno organizzato l’evento – Chiaruttini, Romani, Delicati – sono soddisfatte. Una ragazza si è persa nella distinzione tra faglia inversa, faglia diretta, faglia trascorrente. Non importa, recupererà sui libri. Intanto il relatore analizza gli effetti del terremoto sull’ambiente antropico. Passano le immagini devastanti del terremoto dell’Irpinia (1980), Colfiorito-Assisi (1997), L’Aquila (2009), bassa modenese (2012), Amatrice (2016), una sequenza terribile. Straziante. C’è silenzio nell’aula, si riflette. Valensise riduce il commento. Lo annulla. Bastano le immagini. Poi riprende con gli effetti dei terremoti sull’ambiente naturale: fratturazione, franamento, liquefazione, deviazione di fiumi, tsunami, eccetera. L’attenzione sale quando il relatore racconta della sismicità diffusa e delle sequenze sismiche (precisa: “da Gennaio nella sola area di Amatrice-Norcia-Visso ci sono state quasi 30.000 sequenze sismiche”).
Il passaggio successivo è sulla misura dei terremoti. Intensità e magnitudo. Qualche studente si distrae. Torna l’interesse sulle “zone di altissima pericolosità sismica in Italia”. Il relatore spiega con dovizia di particolari e si sofferma sull’area dei Castelli romani. Scandisce: “Negli ultimi 90 anni la sismicità dell’area è stata molto contenuta, in contrasto con quella dei periodi precedenti. Questo pone un serio problema di potenziale vulnerabilità dell’edificato”. Questione delicata. Siamo pronti se dovesse arrivare un terremoto? Le scuole sono – davvero – a norma di legge?
Le domande chiamano in causa la politica e il controllo – attento – sulla struttura e la consistenza e la tenuta degli edifici pubblici. Ma qui il discorso diventa complicato, vengono in mente corruzione e menefreghismo: può dare sicurezza e stabilità un potere politico che traballa, che vive alla giornata, che ha dimenticato il senso e il significato del suo ruolo? Sono le domande che, finita la conferenza, ogni studente porta via con sé. Accanto a qualche certezza: la bellezza della ricerca. “La conoscenza dei fenomeni – scrive Gresta – è il contributo che la scienza offre al Paese per la riduzione dei disastri” (L’Italia dei disastri, a cura di Guidoboni e Valensise, Bononia University Press). Ma basta la scienza? Quando finirà la tragica dicotomia tra la scienza che studia e offre soluzioni, e la politica che le ignora?