Secondo la banca d'affari Usa sotto molti profili siamo tornati al settembre 2011. E comunque vada "a medio termine (cioè dopo le elezioni tedesche) solo il debito pubblico e la solidità delle banche italiane avranno importanza. A meno che, ironicamente, la vittoria dei Sì (che sarebbe gradita agli investitori) non finisca con l’aprire le porte a una vittoria del M5S grazie all’Italicum”
“L’insostenibile leggerezza della politica italiana” è il sottotitolo di una dettagliata e corrosiva analisi sull’Italia alla vigilia del voto e, soprattutto, su ciò che accadrà dopo. A scriverla è l’ufficio ricerche di Citi, una delle maggiori banche statunitensi, e non si può dire che non metta da subito i piedi nel piatto. L’esito del referendum del 4 dicembre? Conta poco. Ciò che importa davvero è l’Italicum, definito addirittura “the Devil”, il diavolo. E gli scenari tracciati dal report guardano con grande preoccupazione alla combinazione di una vittoria del “Sì” al referendum con un Italicum senza modifiche di sostanza. Questo è definito dagli analisti di Citi come il peggior scenario possibile e le probabilità che si realizzi crescono al crescere della percentuale dei “Sì”: più la vittoria è netta, più è probabile che il premier Matteo Renzi sia poco propenso a correggere la legge elettorale e molto invece a incassare il risultato portando il Paese a elezioni anticipate. Il rischio, ça va sans dire, è che poi a vincere al ballottaggio non sia Renzi ma i 5 Stelle, visti come il fumo negli occhi dalla banca statunitense. Ma vediamo in dettaglio cosa si aspettano gli analisti.
Citi sgombera il campo dagli equivoci. Innanzitutto, dicono gli analisti, il governo sta propugnando una riforma costituzionale in un certo qual modo populista, dato che si propone di tagliare i costi della politica, cavalcando così uno dei temi programmatici più ricorrenti nei programmi dei partiti populisti. Ciò detto, la vittoria del “No” non avrebbe un impatto catastrofico sull’economia italiana: al limite potrebbe aumentare un po’ la volatilità dei mercati nel breve periodo, ma “il suo impatto a lungo termine è stato largamente sovrastimato, posto che i problemi italiani sono molto più radicati e profondi”. Come mai allora tanta attenzione per il dibattito politico italiano? E’ presto detto: “Alcuni indicatori economici chiave suggeriscono che oggi l’Italia potrebbe trovarsi in una situazione peggiore di quella del 2011 – si legge nel report – e la nostra maggiore preoccupazione è che il governo possa trovarsi a dover fronteggiare una perdita di fiducia nel settore bancario nel bel mezzo della stagione degli aumenti di capitale che inizierà subito dopo il referendum”. In sostanza, secondo Citi, “se una vittoria del Sì potrebbe aiutare a raccogliere mezzi freschi, il fallimento di un aumento di capitale potrebbe avere un impatto ben più forte e profondo di quello della vittoria bel No”. Quindi, a prescindere dall’esito del voto, “l’Italia potrebbe avere bisogno dell’intervento europeo per uscire dai guai”. Insomma, secondo la banca statunitense, siamo alle soglie del commissariamento: “Sotto molti profili siamo tornati al settembre 2011, al picco della crisi che ha portato all’estromissione di Silvio Berlusconi e ha aperto la strada al governo Monti”. Tuttavia Citi crede anche che “non è nell’interesse di nessuno rischiare che in Italia esploda una crisi finanziaria nei mesi a venire, per vederla poi contagiare l’Europa subito dopo”. Dunque gli analisti ragionano sugli scenari che si apriranno nel dopo voto e tifano per le soluzioni più favorevoli, ovviamente secondo il punto di vista dei grandi investitori.
Come detto il voto è considerato tutto sommato ininfluente: “A differenza della Brexit, il referendum italiano non si qualifica come un evento-spartiacque e gli investitori se ne dimenticheranno presto. Comunque a medio termine (cioè dopo le elezioni tedesche) solo il debito pubblico e la solidità delle banche italiane avranno importanza. A meno che, ironicamente, la vittoria dei Sì (che sarebbe gradita agli investitori) non finisca con l’aprire le porte a una vittoria del M5S grazie all’Italicum”.
In caso di schiacciante vittoria dei “No”, Citi prevede che il premier si dimetta e che il Pd possa arrivare a una scissione, mentre Silvio Berlusconi potrebbe rompere l’attuale alleanza con la Lega per costruire una coalizione dei moderati. In caso invece di vittoria di misura dei “No”, Renzi manterrebbe un ruolo centrale almeno come segretario del partito di maggioranza, spingendo per una modifica in senso più proporzionale dell’Italicum che impedirebbe ai 5 Stelle di vincere le elezioni del 2018. Questo è considerato il “second best”, cioè il secondo migliore scenario possibile e, forse, anche quello più realistico. In questo caso ci sarebbe un rimpasto di governo e a Palazzo Chigi potrebbe andare il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, o un personaggio ritenuto super partes come il presidente dell’Authority Anticorruzione Raffaele Cantone.
In caso invece di vittoria di misura dei “Sì” – considerato da Citi lo scenario migliore – Renzi resterebbe a Palazzo Chigi, magari con un “Renzi II” allargando la maggioranza ad altri partiti (una grande coalizione con Berlusconi) e modificando l’Italicum. Lo scenario peggiore, come accennato, è quello in cui il “Sì” stravince. Renzi non avrebbe alcun incentivo a modificare se non in minima parte l’impianto dell’Italicum e punterebbe a massimizzare la vittoria andando al voto prima del 2018. Uno scenario che potrebbe aprire al M5S la strada del governo.