Ennesimo incidente, questa volta sostanziale, sulla strada della riforma della pubblica amministrazione targata Marianna Madia. Secondo la Corte Costituzionale, la delega è illegittima nelle parti in cui prevede che l’attuazione attraverso i decreti legislativi possa avvenire dopo aver acquisito il solo parere della Conferenza Stato-Regioni, sede dove serve invece un’intesa per poter procedere. La pronuncia della Consulta è arrivata in seguito a un ricorso della Regione Veneto e riguarda le norme relative a dirigenza, partecipate, servizi pubblici locali e pubblico impiego: rende quindi illegittimi anche i decreti approvati giovedì in via definitiva dal Consiglio dei ministri, tra cui quelli sui dirigenti e sui servizi locali (ancora da varare invece il testo unico sul pubblico impiego).
Ha fatto subito buon viso a cattivo gioco Matteo Renzi, che a nove giorni dal referendum costituzionale ha approfittato del pronunciamento per sottolineare: “La Consulta ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sui dirigenti perché non abbiamo coinvolto le Regioni. E’ un Paese in cui siamo bloccati“. Chiaro il riferimento agli effetti della revisione del titolo V prevista dalla riforma Renzi-Boschi: se passerà, il governo potrà bypassare gli enti locali evitando la grana dei conflitti di competenza. Poco dopo è arrivata anche una nota del Comitato ‘Basta un sì’ che parla di “un ricorso basato su motivazioni meramente formali” che causa “l’ennesimo blocco burocratico, che ha fatto sprecare tempo e soldi al Parlamento per le sedute necessarie ad approvare questi provvedimenti e che impedisce ai cittadini di ricevere i benefici in essi contenuti. Uno stop che la riforma costituzionale permetterebbe di superare, riportando la gestione della pubblica amministrazione, com’è giusto che sia, alla competenza dello Stato”. Di parere diametralmente opposto i dirigenti, da tempo sulle barricate contro il ruolo unico e il rischio di restare senza poltrona e con lo stipendio ridotto: “E’ tutto da rifare. E domani la delega scade“, cantano vittoria. La Madia si limita a dire che “le sentenze si rispettano”. E, già che c’è, aggiunge anche lei che “se votiamo sì non ci sarà più la possibilità che una Regione blocchi l’innovazione di tutto il Paese”.
Tornando alla pronuncia, la Corte ha circoscritto il giudizio alle misure della delega Madia impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative. “Le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”, si spiega nella sintesi della sentenza. In particolare, sono stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale relativi alla delega per il Codice dell’amministrazione digitale. Lo stop riguarda quindi esclusivamente le deleghe al governo “in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica”, “per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, “di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale”. La Consulta, guardando al futuro, sottolinea comunque che “le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione“.
Ora per i decreti Madia spunta l’ipotesi del ritiro. I provvedimenti sulla dirigenza pubblica e sui servizi pubblici locali, approvati giovedì in Consiglio dei Ministri, potrebbero essere bloccati in uscita e il ‘timbro’ del Quirinale per questi diventerebbe superfluo. Invece per i decreti già pubblicati in Gazzetta Ufficiale, in vigore, quelli sulla razionalizzazione delle partecipate pubbliche e sui licenziamenti lampo per i furbetti, l’ipotesi di correttivi potrebbe non risultare sufficiente lasciando spazio all’alternativa del ritiro. Per quanto riguarda il testo unico sul pubblico impiego il problema non si pone, visto che la presentazione era prevista per febbraio. Quanto alla legge deroga, da cui i decreti discendono, dovrebbe essere rivista con anche una riapertura dei termini, ovvero delle scadenze per la definizione dei provvedimenti di attuazione.
Nei mesi scorsi alcuni tasselli della riforma erano già stati “smontati” dalla giustizia amministrativa: a metà ottobre il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto sulla dirigenza pubblica per assenza di copertura finanziaria e mancanza di nuovi sistemi di valutazione, arrivando alla conclusione che “occorrono rilevanti modifiche al decreto per un miglior risultato sul merito, efficienza e responsabilità dei dirigenti”. Sia il Tar sia il Consiglio di Stato hanno poi giudicato “illegittimi” e “irragionevoli” i requisiti richiesti dal decreto sulla pa digitale ai gestori di pec, certificatori e conservatori di documenti digitali. Ciliegina sulla torta, il Tar del Lazio ha demolito pure il regolamento attuativo di quest’ultimo decreto sulla digitalizzazione dei servizi ribadendo che i requisiti di capitale sono ingiustificati.
Dall’Unadis al Fedir, i sindacati dei dirigenti pubblici esultano. “Esiste un giudice a Berlino“, commenta l’Unione nazionale dirigenti dello Stato attraverso il segretario generale Barbara Casagrande. “Qualcuno comincia a dire che la legge Madia è incostituzionale e, di conseguenza, lo è il decreto legislativo adottato ieri dal Consiglio dei Ministri, laddove non vi è una intesa con la Conferenza Stato Regioni (ma solo un parere). Dopo le numerose iniziative volte ad evidenziare le nostre preoccupazioni nei confronti di una riforma inapplicabile, incostituzionale, che lede l’imparzialità della funzione amministrativa e ingenera incrementi dei costi all’esterno, adesso dobbiamo ragionare sulle azioni immediate a tutela della difesa della dirigenza”. “Domani la delega scade”, ma “auspichiamo che non si blocchi il processo di riforma, ma che avvenga in modo corretto e condiviso”. Per mercoledì è convocata una “grande assemblea della dirigenza, insieme ai nostri legali, per definire le azioni imminenti a difesa della categoria e del Paese”.
Il segretario nazionale della Federazione dei Dirigenti e Direttivi Pubblici (Fedir), Antonio Travia, fa appello al presidente Mattarella chiedendogli “di non rendersi complice di Renzi di ulteriori illegittimità e quindi di non firmare il decreto Madia sulla dirigenza”.