(Foto di Francesco Begonja)
Oggi si selfizza, si whatappa. Prima del digitale si andava in un bel posto e si spediva una cartolina. Ma c’era un tempo quando il principe/condottiero Eugenio di Savoia per mostrare le bellezze da Grand Tour mandava all’imperatrice Mariateresa d’Austria magnifiche vedute di Napoli per ornare lo Shloss Hof, oggi residenza privata del conte Harrach, aperto solo per gli ospiti di Generoso venuti da ogni dove.
La sera invece sulla monumentale scalinata del Kunsthistorisches Museum, l’equivalente dei Musei Vaticani per magnificenza, Generoso e Roberto Di Meo, ineccepibili anfitrioni e produttori di vino irpino, aprivano il Gran Ballo in stile imperiale. Tutto cominciò dal casale settecentesco di famiglia a Salza Irpina e una missione: produrre vino. Correva l’anno 1986 e il comune del paese voleva espropriare la villa, un tempo tenuta di caccia dei principi Caracciolo, per destinare l’area al settore industriale. Giù le mani dalla mia terra, disse la pasionaria Erminia, la maggiore dei fratelli Di Meo, e capì che era arrivato il momento di intervenire per difendere il patrimonio enologico e la bellezza paesaggistica. L’obiettivo era quello di valorizzare i vitigni autoctoni irpini, vera eccellenza made in Sud: Fiano, Greco, Aglianico, Coda di volpe. Grazie alla tenacia di Erminia, alla potenza comunicativa di Generoso e alla tecnica di Roberto (oggi Presidente di Assoenologi Campania), l’azienda (anzichè chiudere) è passata in pochi anni da un paio di migliaia a mezzo milione di bottiglie.
Mecenatismo e marketing, Generoso, che nella vita di tutti i giorni fa il ginecologo, fece realizzare quindici anni fa il primo Calendario delle cantine di Meo. Lo presentò al museo di Capodimonte, l’anno successivo a Palazzo Taverna di Roma. Ogni anno, una location diversa, sempre più stupefacente: le museé de la Chasse a Parigi, poi da Cipriani Wall Street a New York, Madrid, Marrakesh, Varsavia, Berlino, Londra. L’anno scorso al Museo Patriottico di Mosca andava in scena il Ballo Guerra e Pace. Scatto dopo scatto il calendario Di Meo (con prefazione di Vittorio Sgarbi) diventava un cult. Il Pirelli dell’enologia. Un pezzo da collezione. Visto che a Massimo Listri (che è il top dei fotografi d’arte) ogni città spalancava palazzi e castelli di famiglia, solitamente chiusi al pubblico.
A Vienna invece Listri ha raccontato in dodici scatti la capitale dell’impero asburgico attraverso i suoi legami con Napoli e l’Italia. Due corti a confronto, quella borbonica e quella di Sissi. E così un estasiato Tommaso Ziffer, tra i più quotati arredatori made in Italy: “Non mi capiterà mai più di rimanere io, Raffaello e la sua Madonna del Prato, da soli in una sala. O tete a tete con Luca Giordano…” Mentre Francesca di Carrobio, ad di Hermes Italia, stringeva la mano ad Erwin Wurm, nella top ten degli artisti più influenti del pianeta.
Per l’occasione le dame indossavano le ultra/chic Bizantine Bag, pochette realizzate da Benedetta Lignani Marchesani d’ispirazione imperiale mentre i signori sono stati omaggiati da Giuseppe Colombo, patron dell’azienda Gallo, con una calza speciale raffigurante Carlo VI travestito da imperatore romano. C’era la nuora “presidenziale”, Daniela Lanza, sposata con Bernardo Giorgio Mattarella, figlio del Presidente. E c’era Stefan Piech (erede della Porsche), ma ogni categoria erano ben rappresentata: la noblesse mitteleuropa dal principe Victor Turn und Taxis e da Beatrice di Borbone, l’Eccellenza diplomatica dall’ambasciatore a Vienna Giorgio Marrapodi e l’ambasciatore a Londra Pasquale Terracciano. L’alta giurisprudenza era raffigurata dall’avvocatessa Nicoletta Piergentili…
Finite le tarantelle irpine, bevuto l’ultimo goccio di “Ratafià di Nonna Erminia”, liquore a base di erbe ricavato da antica ricetta familiare, quale sarà la prossima destinazione: Lisbona o Oman? La festa non è ancora finita.