C’è da scrivere la recensione del nuovo album di Marco Mengoni.
Un nuovo album di Marco Mengoni? Un altro?
C’è da scrivere la recensione del nuovo album di Marco Mengoni.
Ok, capito. Allora giochiamoci la carta di quello che a ogni autunno torna fuori con il solito album, spinto, si fa per dire, dal solito singolo.
Già fatto, neanche un mese fa. C’è da scrivere la recensione del nuovo album di Marco Mengoni.
Ok, capito. Allora buttiamola sul fatto che Marco Mengoni non esiste, è tutta un’invenzione del suo social media manager, che campa più sui social che nel mondo reale: per questo se ne esce ogni due per tre con un nuovo lavoro, così ha qualcosa da pubblicizzare in rete, almeno poi può costruirci su un nuovo tour e via discorrendo.
Già fatto, neanche due mesi fa. C’è da scrivere la recensione del nuovo album di Marco Mengoni.
Ok, capito. Allora giochiamoci la carta dei talent, che in realtà non tirano fuori talenti. E che se anche volessimo far rientrare Marco Mengoni nella categoria talenti, e non vogliamo far rientrare Marco Mengoni nella categoria talenti, perché non consideriamo Marco Mengoni uno che debba essere incluso nella categoria talenti, ecco, se anche noi volessimo far rientrare Marco Mengoni nella categoria talenti dovremmo farlo dal momento in cui si è scrollato di dosso il talent, X Factor nello specifico, cioè prima con Sanremo e L’essenziale e poi con l’invenzione di Roberto De Luca, proprio quel Roberto De Luca lì, che se l’è inventato capace di riempire palasport. Magari buttiamola pure un po’ in vacca citando il post con cui lui, Marco Mengoni, ha goffamente preso le distanze da De Luca, come se lo conoscesse appena di vista, di sfuggita.
Già fatto, neanche un mese fa. C’è da scrivere la recensione del nuovo album di Marco Mengoni.
Ok, capito. Allora sottolineiamo come lui, che fa sempre il figo, quello cool, con la barba ben curata, lo sguardo scuro contornato da mascara, gli abiti eleganti (eccezion fatta per il passaggio in stile Decathlon a X Factor di un paio di settimane fa), parli in realtà con un improbabile accento che lo fa assomigliare al Nino Manfredi che faceva il contadino ciociaro, creando un contrasto davvero paradossale, il tutto, ovviamente, citando ogni tre righe Ronciglione, il paese da cui arriva. Ecco, potremmo chiamarlo in continuazione “il cantante di Ronciglione”, col che sottolineeremmo anche che lui, in realtà, non è un cantautore, come tenderebbe a far passare, ma un cantante, per di più non di Chelsea, ma di Ronciglione.
Già fatto, neanche un mese fa. C’è da scrivere la recensione del nuovo album di Marco Mengoni.
Ok, capito. Tocca proprio ascoltare il nuovo lavoro di Marco Mengoni. Non ci sono altre scelte. Allora ci armiamo di caffeina. Ma la caffeina non basta. Ci armiamo di taurina, la misteriosa sostanza contenuta nella RedBull. Non basta neanche quella. Passeremmo alle amfetamine, ma sono illegali. Quindi optiamo per sciogliere in un thermos di caffè tre o quattro pasticche di viagra, shakeriamo con un po’ di Ovomaltina e preghiamo il Signore che ce la mandi buona. Ma il Signore tutto può, anche fare i miracoli. Giustamente però opta per fare miracoli un po’ più socialmente utili. Il nuovo lavoro di Marco Mengoni consta in trenta canzoni di Marco Mengoni, e anche il beverone che abbiamo ingerito non basta: questa è una prova cui Nostro Signore non avrebbe sottoposto nessuno, davvero troppo.
Non è tanto per una questione di estrema bruttezza delle canzoni, perché alcune potrebbero anche non rientrare nella categoria, ma proprio perché trenta canzoni di Marco Mengoni sono qualcosa che esula l’umano. Trenta canzoni. Cioè, se Marco Mengoni pubblica un album dal vivo che propone trenta canzoni, per dire, uno come Baglioni cosa dovrebbe fare, pubblicare un album ventuplo (che è una parola che non esiste, lo so, ma sono sotto gli effetti di caffè, viagra e Ovomaltina, abbiate pazienza, stavo cercando il termine per indicare un album composto di venti cd)? E un Luca Carboni? O un Eros Ramazzotti?
Ma lui, Marco Mengoni, se ne frega, e ci sottopone al supplizio delle trenta canzoni, tutte uguali a loro stesse, e più che altro tutte incapaci di lasciare traccia dentro noi stessi, un po’ come per quelle figure mitologiche greche (l’effetto del beverone ci impedisce di ricordarne il nome), che mangiavano continuamente ma avendo le budella lacerate tutto quel che mangiava finiva direttamente in terra, lasciandole affamate.
Uno dice, ok, ma Mengoni ha fatto anche belle canzoni. Meritevoli. E uno gli chiede, sì? Quali? E uno dice, Guerriero, sì, ha fatto Guerriero. E uno risponde, ok, Guerriero va bene. Poi? Uno dice, quell’altra, che assomiglia a Guerriero, Ti ho voluto bene veramente. Ok, e fanno due. Poi? Facile, L’essenziale. L’essenziale è bella. Parliamone, uno potrebbe rispondere. Ma uno non è che ha voglia sempre di spaccare il capello in quattro, quindi dà per buona pure L’essenziale. Ma Cristo Santo fanno tre canzoni, e qui ce ne sono trenta. Dico, trenta. E di queste trenta ci sono anche cinque inediti. O meglio, quattro inediti più il nuovo singolo, uguale a Guerriero, a sua volta. Tutta musica che passa senza lasciare traccia, compresa la canzone che porta la firma di Niccolò Contessa de I Cani.
Uno dice, va bene, ma non sei concreto, non vai nello specifico. Ok. Aspettate. Mi scolo una bottiglia di Sambuca e ve li descrivo. Non basta. Ci aggiungo una di Caffesport Borghetti. Così, a digiuno. Allora. Tolto Sai che, di cui ho già scritto, in questo nuovo lavoro di Mengoni ci sono quattro inediti. Tutti brutti. C’è Se imparassimo, una mid-tempo a firma Mengoni e Fabio Ilacqua (autore di Amen di Gabbani) con delle pretese sul fronte testuale, ma che usa parole che risultano poco credibili in bocca a uno che vuole passare per cantautore. Per la cronaca, ci viene detto che in questo brano il cantante di Ronciglione (Oops) suona la batteria, ma non è che siamo di fronte a niente di eclatante. Onde è appunto il brano scritto con Niccolò Contessa de I Cani. Questa dovrebbe essere la Io ti aspetto di questo lavoro, brano destinato a far ballare la gente. Dance, quindi, e ovviamente elettronica, essendo della partita Contessa. In realtà, proprio come Io ti aspetto, è una brutta canzone con brutti suoni. E per quanto riguarda il ballare, beh, chiunque viva a nord di Copenaghen vi potrebbe spiegare che no, questa roba non è affatto ballabile, fatevene una ragione. Proteggiti da me suona, già dal titolo, come una indicazione precisa. E in effetti così dovremmo fare. L’ha scritta uno degli autori che più danni ha fatto recentemente, Daniele Magro, già al lavoro per Emma e Chiara Galiazzo. Evidentemente non contento ci vuole ammorbare anche con Mengoni, in un altro brano che vorrebbe essere introspettivo ma che risulta semplicemente stucchevole. Chiude il gruppetto degli inediti Power, una sorta di viaggio negli anni Ottanta a firma di Alexandra Vickery. Una specie di blues, Robert Johnson mi perdoni, se può, che ci presenta per la prima volta Mengoni in inglese. Meglio, perché almeno se si è distratti non si capiscono le parole, ma per il resto niente di che. Questo è quanto, se non si vuole considerare inedita la nuova versione di A occhi chiusi, già contenuta in Le cose che non ho. Al suo fianco la popstar inglese Paloma Faith. Diciamo niente per cui correre fuori di casa alla ricerca di un negozio di dischi.